Scuola, prevenire aggressioni e violenza con dialogo e inclusione – INTERVISTA al dirigente scolastico Simone Ceresoni
Si moltiplicano i casi di aggressione verbale e fisica nei confronti del personale delle scuole di tutta Italia: presidi e docenti sono nel mirino non solo di studenti ripresi durante l’anno scolastico o bocciati, ma anche dei loro familiari che non gradiscono magari un voto o una sospensione stabilita verso il proprio figlio o parente. Sono oltre 30 gli episodi denunciati nei soli primi tre mesi del 2024, un numero in crescita rispetto all’anno precedente, e a cui si deve aggiungere una cifra ancora più alta di casi avvenuti ma non denunciati. Ma il nostro territorio è al sicuro? Abbiamo fatto il punto della situazione locale con il dirigente scolastico dell’istituto d’istruzione superiore Padovano-Corinaldesi di Senigallia Simone Ceresoni. L’audio è disponibile cliccando il tasto play del lettore multimediale mentre il testo dell’intervista è subito sotto, per chi volesse proseguire invece con la lettura dell’articolo.
Che situazione nel nostro territorio?
Finora nella nostra area vasta da Senigallia ad Arcevia non si sono verificati episodi gravi, quindi direi che c’è una situazione più tranquilla rispetto ad altre zone dal punto di vista apicale, insomma dei fatti più eclatanti. Tuttavia la scuola recepisce un disagio notevole nelle comunità di questo paese, ma credo che sia una situazione diffusa un po’ ovunque, non solo in Italia. C’è sempre meno dialogo, meno inclusione, si perde un po’ la speranza e questo rischia di convogliare verso diverbi violenti o anche aggressioni. Segnali così ce ne sono un po’ dappertutto, anche da noi.
Ma quali sono le cause?
Sostanzialmente i modelli culturali che la fanno da padrone oggi. Innanzitutto quello del profitto, del guadagno facile, il pensare che il dio denaro sia quello che muove tutto secondo una logica del tutto subito e tutto facile. Ma siccome il “tutto qui e ora” non c’è, ecco che si scardidano le interconnessioni di dialogo che possono prevenire la violenza. Altro tema è l’individualismo esasperato anche da una digitalizzazione estrema, per cui si pensa di essere soli davanti alle difficoltà, senza cuscinetti di relazioni, di aiuto, di interscambio, per cui si preferisce la via della violenza a quella del dialogo, del recupero, della speranza.
Di fronte a queste concause, come vengono manifestati i disagi e come i giovani vengono in qualche modo protetti o giustificati dalle loro famiglie?
Nella nostra realtà, la percentuale di studenti particolarmente fragili è ridotta, ma ha un peso specifico molto alto. Non sono tanti ma le loro difficoltà pesano sull’intero sistema. Vengono manifestate attraverso il bullismo, si prende di mira il più fragile, ci si aggrega per colpire, ci si vede meno per la convivialità e più per la sfida, per l’esaltazione. E poi c’è la dispersione scolastica: aumenta la percentuale di chi abbandona la scuola, pur essendo ancora nella fascia dell’obbligo scolastico, ma al contempo non lavora. Molto spesso rimane a casa, solo col proprio smartphone, e quindi la sfida è data da una grande potenza digitale, fisica, di velocità , di prestazioni, ma gestita con strumenti estremamente fragili come l’incapacità di gestire le proprie emozioni, un’incapacità di leggere e scegliere tra bene e male. Paradossalmente però le famiglie ci sono, i genitori li trovi, pur nelle difficoltà economiche o socio-culturali.
Qual è il ruolo della scuola?
La scuola torna a essere un elemento centrale,come lo è stata nel periodo covid, un presidio. Grazie ai fondi pnrr le scuole stanno mettendo in piedi strumenti di sostegno e mutuo aiuto per intercettare le fragilità. Se la scuola è attenta, alcuni segnali di malessere possono essere captati prima che sfocino in episodi di bullismo, di violenza, di femminicidio. Il fatto eclatante è solitamente l’ultima goccia di un percorso maturato prima.
Quindi il lavoro da fare è di tipo culturale?
Sì, dobbiamo tentare di coinvolgere tutti i ragazzi e tutte le ragazze sia nell’accoglienza delle fragilità perché la scuola è il luogo dove ognuno può trovare il proprio posto, sia nel rigore del rispetto degli altri, del diritto allo studio, delle cose, della propria vita. Accogliere ma anche rispettare: ci sono delle regole che sono alla base di ogni libertà: siamo liberi fino a che rispettiamo regole condivise. Così possiamo aiutare gli studenti fragili che hanno bisogno di prossimità, di sentirsi accolti ma anche guidati attraverso proposte pluraliste. La scuola deve essere un interlocutore credibile, solido e solidale.
Sono ancora attivi gli sportelli psicologici attivati durante la fase covid?
Sì, la nostra scuola l’ha mantenuto con professionisti selezionati attraverso bandi pubblici. Fanno lezioni sia collettive attraverso i gruppi-classe, sia azioni individuali con alunni e famiglie. Non parliamo di psicoterapia, ci vorrebbero altre risorse, strutture e tempi, ma solo di strumenti di sostegno. Valgono anche per il personale scolastico che potrebbe essere anche stressato magari da alcuni episodi, permettendo quindi di ripartire.
Perché ci sono questi disagi, questo stress, queste difficoltà?
In questo momento stiamo pagando gli effetti immediati della pandemia. Ne siamo usciti come si poteva con tutte le criticità, ma oggi le generazioni che sono state a casa per uno o due anni scolastici stanno dimostrando gli effetti negativi di quella decisione che era urgente prendere. Non è in discussione quella misura, ma ecco il prezzo da pagare, tra alta dispersione scolastica, aggressività per mancanza di capacità nel dialogare, frustrazione molto elevata.
La rete con famiglie e agenzie educative è l’unica riposta?
Una delle risposte principali: la convivialità, collaborazione e cooperazione possono contrastare la competitività e l’individualismo dei modelli predominanti oggi.
Che progetti avete attivato in tal senso?
Questo è un istituto molto complesso, con 1400 studenti in due comuni, tre sedi, cinque indirizzi tecnici e quattro professionali. Ma oltre alla didattica potenziata con nuovi ambienti e laboratori, abbiamo tre progetti di sostegno alle fragilità. Uno è la didattica dell’orientamento per tutte le classi e figura del tutor associato ad ogni studente: non solo per la scelta della scuola in futuro ma per un percorso di conoscenza di se stessi. Il secondo è un progetto biennale di tutoraggio con professionisti che affrontano con incontri e attività periodici le difficoltà ma lo fanno assieme ai ragazzi e alle ragazze. Infine, il miglioramento di quelle competenze per essere compresi e inclusi nel mondo esterno, da quelle scientifiche, tecnologiche e matematiche a quelle linguistiche. Sono la chiave per sviluppare talenti e divenire buoni cittadini o comunque persone felici e realizzate.
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