Storia di Sasha che vuole fare l’attore. In fuga dalla guerra, accolto in Montenegro.
Sasha non pare proprio un giovane profugo. Nemmeno la follia di una guerra a cui sarebbe stato costretto ha rubato la dolcezza del sorriso che incornicia il racconto della sua terribile storia. Una sola borsa, tanta vita lasciata dietro di sé, fatta soprattutto di sogni. Eppure ha solo 25 anni. È il potere della guerra che fa crescere in fretta. Anche a Sarajevo, la capitale di un’altra guerra contemporanea, poco più a Nord, ci dicevano che per contare gli anni dell’assedio bisognava moltiplicarli per dieci, quelli pesano di più e hanno una contabilità tutta loro.
Alle sue spalle, dalla porta del convento in cui ha trovato rifugio, si intravede la maestosità delle Bocche di Kotor, meraviglia naturale del piccolo Montenegro. Ancora una lotta, quella tra le sue tragiche parole e la bellezza di quel paesaggio; il suo forzato viaggio in solitaria e la prepotenza del condominio galleggiante da cui sbarcano rumorosi croceristi, all’arembaggio delle bianche stradine dell’antica Cattaro. Profughi e viaggiatori, fuggiaschi e turisti: a queste latitudini capita spesso che si incrocino vite fatte così, tutte in fuga. Chi in cerca di nuovi scenari ed emozioni, chi da aggressori e aggrediti.
È un posto scomodo il piccolo villaggio siberiano in cui è nato, specie per chi, come lui, ha scelto l’arte come mestiere. Ha studiato cinema e teatro, la grande ed elegante San Pietroburgo prometteva molto di più. Due anni di scene calcate con impegno e testardaggine, in mezzo tanti lavori e lavoretti per una esistenza dignitosa. Il tempo in cui darsi, anima e corpo, ai capolavori ‘di casa’ che hanno fatto storia come alla voglia di sperimentarsi nelle originali visioni di autori contemporanei.
Buio in sala. Cambio di scena, cambio di rotta, copione stravolto! Qualcuno ha deciso diversamente del futuro di Sasha, qualcuno a corto di futuro. Una sceneggiatura scritta altrove, senza il suo permesso, gli butta addosso un’uniforme. Una nuova parte, nuovi ruoli, nuovi costumi di scena. Stavolta non può levarseli di dosso, il sipario rimane sempre alzato su tragedie infinite. Vestiti stretti, troppo stretti, una camicia di forza a taglia unica in un manicomio dove non si spara a salve e il lieto fine è l’eccezione. Anche quando ti salvi la vita.
Scappa Sasha. Gira le spalle alla grande Madre Russia, fa vergognare suo padre, rinnega gli amici di sempre, loro partiti sotto le insegne del nuovo Zar, la patria merita sacrifici. Si sente in trappola, come dentro una scatola senza via d’uscita. L’arte lo ha educato ad essere libero, ma adesso non può essere se stesso. In tanti vivono così, in tanti vorrebbero che le cose cambino, ma troppo grande la sproporzione tra le loro piccole vite e il pericoloso gigante. Chi non ci sta – e sono tanti – fa una brutta fine, lo ha visto anche lui. Ha deluso i suoi, la sua gente. Forse deluderà anche se stesso, le sue aspirazioni, ma non può rimanere lì. Il Kazakistan è la prima, lontana tappa di un lungo viaggio verso il Montenegro.
Non lo sa nemmeno lui come c’è finito in questo angolo di mondo, nel più giovane stato europeo dal presente incerto, proprio come il suo. Gli occhi spalancati sul mare scuro che arriva fin sotto alte montagne, persone generose abituate a tanta storia. Una splendida chiesa affacciata sul fiordo, accanto ad un convento dal nome familiare, San Nikola. Avverte che lì può sentirsi a casa. È domenica, c’è gente che entra, si salutano con larghi sorrisi. Aspetta un po’, guarda da lontano e poi entra anche lui. Uno stropicciato bagaglio ed un unico vestito che ha fatto tanta strada. Tutto estraneo, eppure tutto così rasserenante. Si siede sull’ultima panca, prende fiato e si fa cullare dall’armonia dei suoni e dalle parole sconosciute di un giovane prete dal portamento sicuro. È uno che deve saperla lunga, si vede. È bastato quel ‘chi sei, di cosa hai bisogno’, appena finita la Messa, a fargli abbassare la guardia, decide di fidarsi. È tempo di confidenze fraterne, impegni da rispettare, di creatività all’opera.
Vive lì, Sasha. Anche oggi è tra quelle antiche mura. Ha una grande camera dalla luce mediterranea, vicino ad un pianoforte e tanti libri. Fa la sua parte, sa fare tutto: accompagna i visitatori, aiuta nella gestione del piccolo negozio per turisti annesso al convento, si prende cura del giardino, continua a custodire e curare la sua arte, non smette di pensare alla vita che sarà. Anche quando lo raggiunge la notizia della morte di sua madre, anche quando la solitudine lo attanaglia in una lacrima straniera che non gli permette di darle il suo ultimo saluto. Troppo pericoloso tornare a casa.
Non smette di sperare, Sasha. Sarà attore, vedrà più mondo, forse varcherà l’oceano; vivrà un’altra Europa, un’altra Russia. Ci crede davvero e nell’abbraccio che ci separa da lui stringiamo forte il desiderio di un mondo all’altezza del suo luminoso volto.
Laura Mandolini
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