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Quando la politica finisce in tribunale (e non per attività consiliari)

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Quando la politica finisce nelle aule di un tribunale. Non è la prima volta (e non sarà certo l’ultima) che uno o più consiglieri o altre figure elette di Senigallia finiscono a processo, ma stavolta non c’entrano le frasi o dichiarazioni rilasciate in sede consiliare bensì la politica in quanto militanza, in quanto attività svolta nelle file di partito. Ma soprattutto fuori il partito. I consiglieri coinvolti sono Marcello Liverani e Davide Da Ros (FdI), finiti a giudizio per calunnia e per diffamazione nei confronti di un’ex militante della Lega, lo stesso partito a cui era iscritto allora Da Ros. 

La vicenda nasce da un post su Instagram di una minorenne: le frasi hanno allarmato alcuni familiari e conoscenti che hanno fatto presente a Liverani e Da Ros le dichiarazioni sui social in cui la giovane manifestava un certo disagio. Quello che sembrava uno sfogo adolescenziale dopo un litigio con un genitore è divenuto quattro mesi dopo, nell’ottobre 2018, oggetto di una segnalazione ai servizi sociali dell’Asur di Senigallia, con la conseguente presa in carico della vicenda. Ma il genitore, scoperta la fonte di tale segnalazione, ha chiamato in causa i due consiglieri.

In primo grado la condanna dei due consiglieri comunali di Senigallia è arrivata per la sola diffamazione, mentre per la calunnia c’è stata l’assoluzione. Il giudice, nel dicembre 2022, stabilì una pena a 6 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena oltre a un risarcimento dei danni di 15 mila euro e al pagamento delle spese legali a favore della parte civile. In appello la condanna è stata confermata ma la pena ridotta, perché “gli accertamenti svolti – si legge nella sentenza – si sono conclusi rapidamente e le parole diffamatorie non hanno raggiunto un’ampia platea di soggetti, rimanendo confinate al personale dei servizi sociali e all’autorità giudiziaria”. Di fatto, secondo il legale della persona offesa, avv. Roberto Paradisi, nonostante la pena ridotta, la corte di appello di Ancona ha «pienamente confermato l’assetto motivazionale della sentenza del Gip. Anzi, la Corte ha ulteriormente specificato che i due consiglieri “abbiano voluto screditare la Silvestrini anche alla luce dei loro pregressi rapporti politici”». Da qui la considerazione che «le circostanze riferite ai servizi sociali da Marcello Liverani e Davide Da Ros “sono risultate false e di contenuto diffamatorio e hanno leso l’onorabilità della persona offesa”». 

Soddisfazione per la risposta degli organi di giustizia è stata espressa dalla vittima tramite il suo legale Paradisi, il quale ha precisato che «non era l’entità della somma a titolo di risarcimento ad interessare la persona offesa (che, peraltro, è stata costretta a pignorare anche il gettone di presenza dei due consiglieri  presso le casse comunali per ottenere ristoro) ma una parola chiara giudiziale che cristallizzasse non solo le falsità contenute nell’esposto ma anche le motivazioni che avevano spinto i due imputati ad agire».

Sulla vicenda finita poi sui giornali sono voluti intervenire i due consiglieri condannati anche in secondo grado: «La sentenza ha parzialmente accolto il gravame da noi promosso e, in parziale riforma del provvedimento di primo grado, ha cancellato la pena della reclusione, sostituita dalla sola multa di €. 1.000,00; e ridotto la somma dovuta a titolo di risarcimento, portandola da €. 15.000,00 ad €. 3.000,00, abbattendola quindi dell’80%. Se nella vicenda processuale si vuole per forza cercare un “vincitore”, questo non è senz’altro la persona offesa, che ha visto riformare in suo sfavore il pronunciamento» del giudice di primo grado, dichiarano Liverani e Da Ros.

Che poi precisano anche come i gettoni di presenza per l’attività consiliare non c’entrino nella vicenda: «Subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza di appello, avvenuto all’esito dell’udienza del 26 giugno 2024, abbiamo dato incarico al nostro avvocato di contattare il legale della parte offesa per poter immediatamente versare l’importo liquidato per sorte e spese legali. Il pagamento è stato integralmente eseguito il 4 luglio 2024, quindi 8 giorni dopo. Il versamento è stato effettuato con spirito di rivalsa, data la pendenza del termine per ricorrere in Cassazione, possibilità che stiamo attentamente vagliando insieme ai nostri legali». 

Su quest’ultimo punto ha voluto poi ribattere l’avv. Paradisi per specificare che la parte offesa «è stata costretta a pignorare (ad aprile 2024, e quindi ben due mesi prima della sentenza di appello) i gettoni di presenza presso il Comune dei due imputati» e di avere documenti certi su ciò.

Scene che non fanno bene alla vita cittadina, sia per il peso giudiziario di quanto avvenuto, che per le sue conseguenze umane ma soprattutto per il livello della politica consiliare. Dario Romano, capogruppo PD in consiglio comunale a Senigallia, ha infatti rimarcato che, in attesa dell’eventuale terzo grado di giudizio, ai due consiglieri non resta che una sola strada. «Chiediamo un gesto di responsabilità, il primo da 4 anni a oggi, da parte dei consiglieri coinvolti: le dimissioni. Non possiamo permettere che Senigallia continui a essere guidata da figure che imbarazzano la città e la sua storia».

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