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“Preti altrimenti”, tra disagi e possibilità

eucaristia, celebrazione, messa, religione, fede, prete, sacerdote, chiesa
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“Preti altrimenti” è il titolo di un interessante (e dibattuto) editoriale di Giuliano Zanchi, apparso nell’ultimo numero della “Rivista del Clero”, glorioso periodico per la formazione dei preti – ma non solo – edito dall’Università Cattolica di Milano. Il contributo di Zanchi, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di Teologia presso la Cattolica, nonché direttore della medesima rivista, parte da un dato trasversale a molte diocesi italiane (ed anche europee): in questo nostro tempo (l’età post-secolare), essere preti è diventato “un rompicapo” che non ha ancora trovato la forza di suscitare “adeguate correzioni di forma e coerenti scelte istituzionali”. A differenza di quello che accadde, ad esempio, nell’epoca successiva al Concilio di Trento, che seppe trovare delle risposte efficaci.

L’autorevolezza del presbitero oggi – denuncia Zanchi – “è una continua conquista sul campo, che chiama in causa carismi e attitudini spiccatamente individuali”. Al prete tocca sostanzialmente “recitare a soggetto”, puntando sulle carte personali che ha a disposizione (i suoi talenti, le sue capacità…) a seconda delle situazioni in cui si trova, dal momento che il suo ruolo di presbitero non è più decifrato in modo univoco dal contesto sociale in cui vive.

Da qui l’emergere, in modo sempre più evidente secondo Zanchi, della richiesta di molti preti di “connotare altrimenti il loro ministero”, per lo più in alternativa al convenzionale mansionario della parrocchia, “percepita sempre più come un concentrato di routine inconcludenti e strutture divoranti, fonte di un logorio che per molti sembra aver ormai sorpassato i suoi limiti di sopportazione”. Con il conseguente effetto di “disertare il tradizionale compito…

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