Papa Francesco a Ur, da qui partì Abramo
Il ‘solito’ Papa che, mentre il mondo è imprigionato e ferito da una pandemia che non dà tregua, va a trovare un Paese, l’Iraq, dimenticato dalle carte geografiche che contano e dai palinsesti più blasonati. Lo stesso posto che qualche anno fa godeva delle aperture dei tg, ‘grazie’ alle sue tragedie infinite: dittatori (ex amici), due guerre decise a tavolino dal saggio Occidente, la presenza dei nostri militari, il terrorismo e la follia dell’Isis, la guerra nella vicinissima Siria. Poi, il nulla! Un paese e il suo popolo semplicemente spariti dal nostro sguardo, inesistenti.
Fino a ieri, fino a quando il vecchio papa, quasi incurante dei tanti buoni consigli che lo avrebbero fatto desistere, parte. Del resto va a trovare Abramo, uno che di partenze se ne intendeva. Quasi con la stessa incoscienza, in un salto nel buio che rimette al centro della scena un tema antico, quanto fuori moda: la fratellanza, la capacità degli esseri umani di fare spazio a quanto di più bello vive in loro. Il Papa incoraggia i superstiti cristiani, sorelle e fratelli di quei troppi martiri dei giorni nostri; incontra il capo spirituale supremo degli Sciiti, si spinge verso la desertica Ur, splendido sito che parla dell’origine della civiltà mediorientale (e quindi anche occidentale).
Accetta il paradosso di parlare ai capi delle religioni monoteiste proprio quando il loro peso sulle coscienze, sulle politiche è drasticamente diminuito. Ed è singolare come le stesse religioni, quando contavano di più, non si siano sottratte ad essere piattaforme ideologiche di guerre e conflitti di ogni tipo. È come se dicesse: “Ora che ci siamo stancati di usare politicamente le nostre fedi, torniamo alla loro carica profondamente umana, torniamo al loro cuore”.
Tra il vento del deserto, a due passi dalla Ziggurat, una delle più grandi antiche torri al mondo, ha il coraggio di indicarci la strada, di farci fermare e desiderare un mondo che già su questa terra profuma di eternità.
L.M.