Oltre ogni sbaglio
Sono ormai diversi mesi che il venerdì sera, appuntamento sotto casa mia, ci imbarchiamo nella mia macchina per andare a condividere una serata con i carcerati, ma non in carcere, bensì da un’altra parte.
Noi, io insieme ad un gruppo di ragazzi della parrocchia e della diocesi e loro, un gruppo di detenuti in comunità. Il progetto delle Cec (Comunità educante con i carcerati) nasce nel lontano Brasile e viene riproposto dalla comunità papa Giovanni 23 con l’idea di dare la possibilità ad alcuni detenuti di scontare la pena con un cammino alternativo al carcere tradizionale. La sigla stessa spiega l’intento: “comunità”: recuperare il detenuto, senza sbarre, senza isolamento, senza guardia carceraria, senza clima punitivo, ma in una comunità, dove attraverso la condivisione diretta della vita, si può sperimentare una crescita nella relazione autentica con se stessi e gli altri, nella riscoperta delle proprie ferite, paure, limiti; per “educere/ educare” le proprie potenzialità. È un cammino per prendere sempre più consapevolezza della propria responsabilità, fino però a perdonarsi, fino ad entrare con tutta la propria personale in una dimensione nuova, quella di poter fare del bene agli altri, riparativo per sé, per l’altro e per tutta la società. Ci si educa alla scoperta di se stessi, delle proprie ferite, dei propri talenti, si impara ad essere autentici per amare, fine ultimo della vita di ciascuno.
Per questo quel “con i carcerati” sta a sottolineare che chiunque della società civile si avvicina a loro, è chiamato ad entrare in una relazione alla pari e sincera. Per questo ci si educa insieme ad una vita vera e più autentica.
Quando poi sono i giovani ad avvicinarsi a questo mondo allora tutto diventa incredibilmente paradossale ed affascinante. La ricetta è semplice: ci si siede con loro, aiutati da una musica, da un immagine, un disegno, una dinamica e scatta una condivisione sulla propria storia personale in una maniera autentica e sincera. Allora detenuti e giovani condividono la propria vita cuore, a cuore, si scoprono incredibilmente vicini, tutti desiderosi di costruirsi una vita vera.
Lo specifico della Comunità Papa Giovanni 23 inoltre
è sperimentare la condivisione diretta della vita con gli ultimi, insieme. È per questo che sono accolte anche all’interno dei Cec persone con grave disabilità, che altrimenti non avrebbero famiglia. E sono proprio i più piccoli a compiere i miracoli più grandi nel cuore di ogni uomo, è così che il recuperando si sperimenta nella cura e nell’accudimento di chi non ce la fa da solo e questo diventa un incredibile esperienza di gratuità. Le persone disagiate sono tutt’uno con la casa e diventano una parte fondamentale del cammino.
Il senso profondo dell’esperienza che facciamo nell’incontro con loro è espresso in modo completo nella riflessione di un carcerato: “per arrivare alla consapevolezza di sè e del senso vero della vita, Dio ci fa vivere prima la nostra miseria, la nostra povertà, le nostre fragilità, le nostre paure, il nostro essere nulla. Ma poi Dio ci dona il suo amore, pur rimanendo consapevoli della nostra povertà, ma ricchi del suo amore, pos- siamo usare i doni che ci ha donato per donarli e donarci così autenticamente al prossimo”. La parola autenticità è quella che mi risuona, accanto alla povertà, come filo conduttore del cammino a cui ci portano i nostri fratelli detenuti, che paradossalmente ci insegnano che davanti a Dio ci si può stare solo completamente spogliati di se stessi. Questo progetto e questo modo di camminare insieme ci ha preso il cuore e stiamo istoria niziando a sognare di poter costruire questo progetto anche nella nostra diocesi. Per questo al nostro teatro Portone, il 15 gennaio 2019 saranno ospiti Giorgio Pieri, della comunità Papa Giovanni 23, iniziatore di questo progetto ed alcuni detenuti, che condivideranno la loro storia e il loro percorso, nella speranza di appassionarci sempre di più alla sfida di una società più giusta e più vera, in cui c’è posto per tutti.
Giuseppe Santoro