L’olio che profuma di storia
A quel tempo si raccoglievano tutte le olive che l’albero offriva, comprese quelle cadute a terra per qualche motivo: vento o pioggia abbondante. Pochissime invece erano quelle danneggiate dagli insetti: mosca, verme, ecc. Si può dire che c’era ancora in vita una sorta di agricoltura biologica, che oggi si tenta di ripristinare più in fretta possibile, utilizzando sempre meno, diciamo per semplificare, i veleni e sempre più le nuove scoperte scientifiche e la scuola della sana agronomia e della sapienza.
La raccolta era tutta manuale, come in gran parte delle nostre Marche ancora oggi avviene nonostante la crescente diffusione di scuotitori in oliveti strutturati.
L’odore di olio entrava nelle narici al solo contatto con le foglie. Poi c’era il trasporto delle olive al frantoio, con il biroccio trainato dai buoi, ora si usano trattori, Pick-up o altri mezzi da trasporto. Dalle mie parti il frantoio più vicino era quello di Cavallari, a Scapezzano di Senigallia, che frangeva con le pesanti ruote di pietra. Oggi ci sono varie tecniche di molitura, ognuna delle quali offre un tipo di olio dalle specifiche peculiarità organolettiche e gustative, rispetto anche alle varietà di olive.
La sera invece le migliori olive si stendevano sul tavolo della cucina per rimuovere ogni impurità. Poi venivano selezionate per la conservazione in salamoia o sottolio. Dove il contratto era a mezzadria, come nel mio caso, in parti uguali tra il contadino e il proprietario del fondo (forse a beneficio più del fattore che del proprietario, ma questa è un’altra storia).
Della raccolta di olive non conservo tuttavia bucoliche nostalgie, tutt’altro. Ricordo che la raccolta di quelle cadute a terra era riservata ai più piccoli della famiglia e in generale anche alle donne. Sempre a quel tempo (oltre sessant’anni fa) ciò avveniva a metà novembre e qualche volta si protraeva fino ai primi di dicembre. Non di rado capitava che qualche spruzzata di neve coprisse il terreno. Raccogliere le olive in ginocchio o carponi per diverse ore, in un ambiente spesso umido e freddo, era un vero supplizio: le gambe erano indolenzite e formicolavano, si aveva male alla schiena e le dita (sempre nude) si congelavano al punto da non fare più presa. Ovviamente per una ventina di giorni i bambini che vivevano in campagna dovevano dimenticare lo studio e i compiti da fare a casa, un fatto che gli insegnanti di quel tempo non sempre consideravano (le disparità educative e formative hanno radici lontane).
Oggi fortunatamente, almeno dal punto di vista della fatica, molto è cambiato per l’agricoltore o per il bracciante: sono disponibili mezzi moderni e più efficaci, in molti casi le olive sono scelte attentamente per ottenere una buona qualità, non si punta soltanto sulla quantità, si ha una vasta gamma di prodotti di olio extra vergine d’oliva accessibile a tutte le tasche. Necessario tenere sempre gli occhi aperti contro eventuali imbroglioni, ma questo vale per tutti gli alimenti e non solo per l’olio, purtroppo!
La coltura dell’olio è divenuta cultura popolare, non più riservata esclusivamente ai ricchi, ma la lode al prodotto è ormai patrimonio diffuso tanto che in suo onore vengono organizzate anche feste popolari (vedi Cartoceto in provincia di Pesaro Urbino e Scapezzano di Senigallia in provincia di Ancona), che richiamano persone da ogni dove e che speriamo si possano ripetere non appena usciremo dall’emergenza Covid 19.
Marco Giardini