Lavoro precario, la stabilità diventa sempre più un miraggio
L’economia è in ripresa. Lo sostiene la Uil che sottolinea però alcune problematiche ancora non risolte, tra cui il lavoro sempre più precario: nel 2022 solo il 12% (quasi) delle assunzioni era con contratto a tempo indeterminato. Il che si ripercuote in una serie di contrazioni nella spesa interna, che poi a sua volta diventa un problema per le stesse aziende. Un cane che si morde la coda dunque.
Tra i risultati positivi di questo periodo c’è la minor domanda di ore di cassa integrazione, con un 77% in meno di ore autorizzate a gennaio 2023 (il monte ore mensile si ferma a 630mila, comprese Fis e Fondi di solidarietà). Un’economia che sembra ripartire con quasi un’azienda su cinque che prevede assunzioni nel prossimo trimestre. Circa 30mila potenziali ingressi nel mondo del lavoro soprattutto nel manifatturiero (36%), nel turismo (17%) e nel commercio (12%) anche se la situazione marchigiana resta di profonda precarietà.
Basti pensare che nel 2022 (dati Anpal riferiti al primo semestre) il 62,5% dei contratti è cessato perché arrivato a scadenza. Contratti che hanno riguardato, per la maggiore, i settori dell’educazione, della sanità, del commercio e del turismo. Incertezza del domani che, unita a paghe in media più basse nel settore privato rispetto ad altre regioni, fa sì che le Marche non siano appetibili per i giovani che vogliono crearsi un futuro.
«La Uil – commenta la segretaria generale Claudia Mazzucchelli – torna a chiedere con forza alla Regione di farsi promotrice di un tavolo permanente con i rappresentanti dei lavoratori, le associazioni datoriali, il mondo dell’istruzione e della ricerca per programmare non i prossimi tre mesi, ma i prossimi anni. Dobbiamo coniugare lo sviluppo economico allo sviluppo sociale, far dialogare i percorsi formativi con le politiche attive del lavoro».
Nel 2022, secondo i dati dell’Inps riferiti ai primi nove mesi, meno del 12% dei contratti è stato stipulato a tempo indeterminato. Una percentuale che crolla al 9,8% se consideriamo il lavoro femminile. Meno del 14% dei contratti cessati si è trasformato in un rapporto di lavoro stabile. Praticamente è la vittoria della consueta pratica di avviare un rapporto di collaborazione con contratto precario: la promessa poi di renderlo stabile rimane tale e il contratto a tempo indeterminato rimane un miraggio.
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