Il Caritas Baby Hospital, la grotta vivente di Betlemme
“L’albero abbellito con le scatole di antibiotici ritagliate e colorate dai bambini. Palline di cotone e ovatta per fiocchi di neve. Facciamo festa riciclando quello che abbiamo senza gettarlo via, non abbiamo comprato nulla”. Lo racconta così il Natale del Caritas Baby Hospital (CBH) di Betlemme, suor Lucia Corradin, francescana elisabettina, dirigente infermieristica presso il CBH, alle spalle oltre 18 anni trascorsi al servizio dell’unico ospedale pediatrico della Cisgiordania. Era il Natale del 1952 quando un prete svizzero, di nome Ernst Schnydrig, in visita ai campi profughi di Betlemme – vide, mentre andava a messa nella basilica della Natività – un povero padre seppellire il proprio figlio morto per mancanza di cure. In quel momento nacque il Caritas Baby Hospital. Da allora decine di migliaia di bambini – di ogni provenienza e religione – sono stati curati nell’ospedale che è gestito dall’associazione svizzera senza scopo di lucro “Aiuto Bambini Betlemme”. Le due stanze prese in affitto da padre Schnydrig si sono trasformate in un nosocomio con oltre 70 posti letto per il ricovero dei piccoli pazienti. Caritas Baby Hospital di Betlemme (CBH Photos) Caritas Baby Hospital di Betlemme (CBH Photos) Caritas Baby Hospital di Betlemme (CBH Photos)
I ricordi dell’Intifada, dell’assedio della Natività, del coprifuoco a Betlemme, con gli arresti e le case distrutte dai bulldozer israeliani, fino alla pandemia di oggi, si accavallano con quelli delle prime esperienze come responsabile del reparto di Neonatologia, “la cura dei prematuri, la loro lotta per vivere, le culle termiche dove deporre i neonati. Abbiamo reso calde le culle per ogni bambino che ne ha avuto bisogno. La culla è una casa che accoglie, scalda, fa crescere, accudisce”. “Ogni volta – dice – il nostro ospedale si trasformava in quella grotta dove nacque Gesù”. Una grotta moderna come potrebbe esserlo un’incubatrice, un letto, una stanza dove accogliere la vita nascente o curarla, per un Natale che dura 365 giorni.
“Noi ci siamo”. La promessa di padre Schnydrig, “noi ci siamo” continua: il Natale a Betlemme si festeggia ogni giorno nelle culle del Charitas Baby Hospital, una “grotta sempre aperta nel cuore della Palestina” perché dice suor Lucia, “la vita ha tutto il diritto di esistere! La festa e la gioia devono essere per tutti. Anche adesso con la pandemia”. Questo è l’ultimo Natale per suor Lucia e le sue consorelle a Betlemme. Fra poche settimane torneranno in Italia, richiamate dalla loro famiglia religiosa presente a Betlemme sin dalla fondazione del CBH. La crisi delle vocazioni fa sentire i suoi effetti. Nella mente della religiosa passano i 18 anni trascorsi nell’ospedale a servizio dei più piccoli e delle loro famiglie.
Passione per la vita. “Ho avuto il privilegio di vivere a Betlemme e di prendermi cura di tanti bambini – racconta la religiosa -. In questi anni la presenza di Gesù è stata palpabile, visibile nei loro volti, in quelli delle loro famiglie che, come accadde per Giuseppe e Maria più di 2000 anni fa, qui hanno bussato per chiedere cure, accoglienza e conforto. Il Caritas baby hospital è una vera grotta vivente. Ho visto bambini lottare in modo incredibile contro patologie tremende e che ce l’hanno fatta ed oggi vivono. Una lotta che mostra la grande voglia di vivere, di non arrendersi. Questi bambini mi hanno insegnato cosa vuole dire avere passione per la vita. Stare con fede nella sofferenza la fa diventare leggera”.
Lottare per vivere ma anche per essere liberi. “Il Natale è una esperienza di rinascita e di liberazione” afferma suor Lucia. C’è anche una analogia storica a sostenere le parole della religiosa: “L’occupazione romana al tempo di Gesù e quella di oggi, israeliana, fanno da sfondo al Natale del Figlio di Dio e alla nascita di tanti bambini palestinesi”. Il messaggio del Natale, per la religiosa, “è sempre lo stesso: allora come oggi non possiamo ‘catturare’ Gesù. Il Natale è un’esperienza di liberazione. Essa fiorisce nel cuore dell’uomo che diventa quello di Dio. I segni della povertà e della sottomissione di ieri e di oggi svaniscono davanti al messaggio di liberazione del Natale. Non c’è dominatore che possa toccare, rapire l’anima di ogni creatura. L’oppressione è una realtà visibile, l’onnipotenza di Gesù invece non lo è perché vissuta nella confidenza in Dio. Non siamo soli con Dio”.
Natale e frammenti di Resurrezione. Non lo sono nemmeno quei bambini nati e poi rifiutati, abbandonati e che vivono in altre “grotte viventi” di Betlemme, istituti e orfanotrofi come la Crèche, l’Hogar de Ninos, Effetà, che si prendono cura di loro tutti i giorni. “Dio si è fatto solidale con tutti soprattutto con chi è solo, con chi è diverso”. Occuparsi della vita fragile in ogni sua condizione, spiega suor Lucia, “è per noi un’esperienza di maternità che, a volte, nasconde anche un altro Natale: quello alla vita eterna. Per tanti bimbi che ce l’hanno fatta ce ne sono altri che abbiamo accompagnato da questa vita all’altra. È un ‘altro Natale’, un modo di generare nei frammenti di Resurrezione. Quando muore un bambino chi continua ad amarlo – familiari, parenti, amici – va in parte in cielo con lui. Il Natale è anche per questo un’esperienza di liberazione, di comunione e di incontro con Dio”.
Daniele Rocchi