Gesti di umanità senza tempo
L’anziano aggiusta la cravatta sul collo e inizia a fare, lentamente, i gesti di una liturgia che nella sua vita ha ripetuto migliaia di volte.
Stavano aspettando sulla banchina l’arrivo della metro, uno di fianco all’altra. Come sempre, da una vita. Ad un certo punto lei, cappotto rosso e capelli resi candidi come la neve dal trascorrere degli anni, vede lì, vicino a lei, un giovane. È seduto su una delle panchine di metallo della metro. Pantaloni neri, mocassini di pelle, la camicia bianca che profuma ancora di ammorbidente e ferro da stiro, le maniche rimboccate con precisione fino al gomito così da poter muovere più facilmente le braccia.
Sta lottando inutilmente con una striscia di stoffa a rombi viola e lilla, quasi fosse una biscia inferocita. “Sai come si fa il nodo?”, gli chiede. A quelle parole lui si ferma e alza lo sguardo. La risposta – qualora ve ne fosse stato ancora bisogno – esce spontanea: “No, signora”. Lei, non aggiunge altro. Si volta verso il marito, che si trova alla sua sinistra e gli dice: “Vieni da quest’altra parte e insegna a questo giovane come si annoda la cravatta”. L’uomo, di qualche anno più anziano, non dice una parola e senza esitazione fa quello che le ha chiesto la moglie. Si avvicina al giovane e prende tra le mani la cravatta, mentre le mani di quello che potrebbe essere tranquillamente suo nipote abbandonano quella battaglia impari e, sconfitte, si lasciano andare sulle gambe. L’anziano aggiusta la cravatta sul collo e inizia a fare, lentamente, i gesti di una liturgia che nella sua vita ha ripetuto migliaia di volte. Uno dopo l’altro, spiegandoli al ragazzo.
Le sue mani, segnate dalle rughe, si muovono con straordinaria agilità e precisione. Tante volte, nella sua vita, si è fatto il nodo alla cravatta, ma quel nodo lì dev’essere il migliore di tutti. Le code devono coincidere alla perfezione. Perché quello non è un semplice nodo alla cravatta, è il dono di un sapere che si tramanda di padre in figlio.
È la mamma che quando sei piccolo ti insegna ad annodarti i lacci delle scarpe ed è ancora la mamma che ti segue quando impari a vestirti, sempre pronta a intervenire se sbagli ad allacciare i bottoni della camicia. Il nodo alla cravatta lo si impara a fare quando si è grandi. Forse è l’ultima cosa che si impara. E insegnartelo, quello è compito del papà. Attorno a quella piccola striscia di stoffa colorata c’è molto più della semplice trasmissione di una serie di gesti e di geometrie. Ci sono sguardi che si incrociano ad una distanza insolitamente ravvicinata, silenzi che danno voce a sogni, speranze ed emozioni. Ci sono sorrisi che stemperano l’imbarazzo di non essere capaci di fare qualcosa. C’è l’intimità di una relazione umana che va protetta, così come fa la donna nella foto, che con il suo corpo fa da scudo al giovane e al marito, mettendoli al riparo dalla curiosità della gente che passa lì attorno.
Dopo il dettagliato tutorial, l’uomo si sfila la cravatta, scioglie il nodo e lo porge al giovane. “Ora prova tu”, gli dice. Lui prende tra le mani quella striscia di stoffa che si è improvvisamente ammansita, divenendo addirittura familiare. Ripete lentamente i gesti che ha appena visto, facendo attenzione a ricordare e a mettere in pratica ogni particolare di ciascun passaggio. Di tanto in tanto, in silenzio, alza lo sguardo in cerca di approvazione. E l’anziano, con la dolcezza dei suoi anni, segue ogni movimento, annuendo col capo, pronto a intervenire per aggiustare quello che non va. Il giovane riesce nella sua impresa: il nodo alla cravatta è fatto. L’anziano, sorridendo, lo osserva bene e poi prende il nodo tra le mani per dargli un’ultima aggiustata. È il gesto che tante volte si è visto fare da sua moglie, un’ultima carezza prima di uscire di casa per andare al lavoro. Un gesto di tenerezza che, implicitamente, si augura che anche quel giovane sconosciuto possa ricevere tante volte, nel suo futuro.
Tutt’attorno la vita continua. La gente presa da mille impegni, corre con la testa piena di pensieri, mentre a pochi metri di distanza sfrecciano i vagoni dei treni. Pare di sentire il rumore delle ruote sui binari, gli altoparlanti che annunciano l’arrivo di un convoglio e il vociare della gente. Ma sono suoni ovattati dal silenzio di quella scena fuori dal tempo.
Quella che è stata postata e condivisa in questi giorni su Facebook non è una foto recente. Lo si evince subito da un particolare: nessuno dei protagonisti di questo scatto indossa la mascherina. E sebbene sia apparsa sulla pagina di un utente italiano, quella nella foto non è la banchina di una stazione di una metro italiana.
A scattarla, nella Lindbergh Center station di Atlanta (Usa) è stato Redd Desmond Thomas. L’ha postata il 15 novembre 2015, accompagnandola da una descrizione di una manciata di righe. Nel giro di poche ore è diventata virale, ricevendo migliaia di commenti e venendo condivisa oltre 250mila volte.
Misteri dei social, la foto è tornata fuori lo scorso anno. Chi l’ha postata su Twitter, l’ha accompagnata da una fantasiosa ambientazione in una metropolitana italiana. Ora è riemersa dalle tante immagini catturate nella rete, proprio nei giorni in cui le acque dei social sono percorse dai venti tempestosi scatenati dall’omicidio, a Colleferro, di Willy Monteiro Duarte.
Non conosciamo i nomi dei protagonisti di quella foto e non ci importa se non sia un’immagine attuale o se qualcuno la etichetta oggi come una bufala.
L’umanità che c’è in quel gesto di gentilezza è fuori dal tempo del mondo e dentro il tempo dell’uomo. Un tempo, questo, che dovremmo imparare a frequentare un po’ più spesso.
Di Irene Argentiero