La famiglia al centro della comunità parrocchiale, don Andrea Franceschini: «la Chiesa deve far risplendere questa bellezza» – L’INTERVISTA
Per un parroco che lascia, un altro arriva. Nel giro di valzer che la Diocesi ha avviato tra le varie parrocchie è stato interessato anche don Andrea Franceschini, attualmente parroco a Marzocca e Montignano (unità pastorale Emmaus) di Senigallia ma che a settembre diventerà responsabile dell’unità pastorale Buon Samaritano che comprende le parrocchie di S. Maria della Pace, S.Giuseppe Lavoratore (Cesanella), Madonna del Buon Consiglio (Cesano) e S. Giovanni Battista (Scapezzano), al posto di don Mario Camborata che andrà invece ad Arcevia e che abbiamo intervistato in questo articolo. Oggi dunque tocca al suo successore, don Andrea Franceschini: l’intervista è in onda lunedì 8 luglio, alle ore 13:10 e alle ore 20; martedì 9 agli stessi orari e domenica 14 a partire dalle ore 16:50. Ovviamente sempre su Radio Duomo Senigallia/In Blu (95.2 FM). Un estratto dell’intervista è disponibile anche in versione testuale qui sotto mentre chi vorrà ascoltare l’audio integrale potrà anche cliccare sul lettore multimediale.
Senigalliese, classe 1970, ordinato sacerdote nel 2002: una generazione di mezzo tra chi sta per lasciare il servizio attivo e i giovanissimi ordinati tra il 2010 e il 2021.
Ho fatto 22 anni di sacerdozio, non sono più un prete giovanissimo anche se nell’immaginario lo si rimane perché spesso per molti il sacerdote è quello anziano. Sono in una fase adulta, di mezzo tra i giovanissimi, gran bella generazione di sacerdoti, e le colonne che hanno strutturato la chiesa diocesana e la pastorale, e che sono ancora esempi molto belli.
Sei assistente diocesano unitario per l’Azione cattolica, sei vicario foraneo, parroco a Marzocca e Montignano e direttore dell’ufficio della pastorale familiare: come si mettono insieme questi impegni nella vita di un prete oggi?
E’ una fatica avere ruoli diversi che si intersecano, anche se dà vivacità al servizio: il rischio è di sembrare assente agli occhi di chi ti cerca o di non accontentare abbastanza: ci si dovrà fare i conti in futuro.
Ora parroco di Marzocca e Montignano, ma che percorso hai fatto finora?
Questa è la mia prima esperienza di parrocchia: sono arrivato a settembre 2017, ma prima dal seminario seguivo la pastorale giovanile e vocazionale. Anni molto belli, anche difficili, ma con i giovani abbiamo messo in piedi tante iniziative, una bella avventura che non è stato facile lasciare.
Che comunità hai trovato al tuo arrivo?
Una comunità con una bella storia, Montignano ha avuto un parroco che l’ha segnata per 50 anni e poi qualche intermezzo con parroci di Marzocca, mentre questa ha avuto un passato con i frati che l’hanno fondata dandole una chiave più religiosa. Prima di me, don Luciano Guerri ha provato a darle una struttura, gettando le basi di una comunità più moderna.
Che realtà lasci oggi, che cammino intrapreso?
Dovrebbero dirlo i fedeli, la mia risposta è parziale perché è appunto la prima esperienza parrocchiale: ho cercato di creare quell’unità pastorale tra Marzocca e Montignano che hanno caratteristiche diverse, con momenti complementari e non di sovrapposizione. E poi sono stati anni funestati dal covid, di freddo, fatica e distanza che ha congelato tante cose e iniziative. Io ho lavorato per creare un clima di comunità familiare, per far trovare accolte le persone al di là del “livello” di fede o etico. Ognuno è una ricchezza e c’è posto per tutti.
Andrai a settembre alla Pace, Cesanella, Cesano e Scapezzano: che aspettative e timori?
Cerco di andare col cuore libero, meno aspettative si hanno e meglio è; prima le voglio conoscere e poi insieme a loro cercare di capire dove si può andare. Sono quattro poli significativi per popolazione ma anche con identità forti, storie lunghe, non derubricabili a semplici frazioni. Ma qualche timore c’è.
Le famiglie saranno al centro del tuo nuovo incarico?
E’ un settore che ho molto a cuore, anche se non si tratta solo di cura delle coppie sposate ma di dare una dimensione familiare alla comunità. E’ tutta un’altra cosa: si basa sulle relazioni, sugli affetti, sull’umanità che accoglie bambini, famiglie, anziani. Sarà questo clima a permettere di costruire una comunità salda. E’ la bellezza luminosa delle famiglie che deve risplendere di più, con l’impegno della chiesa perché sia più inclusiva possibile, anche nelle varie iniziative o nella semplice possibilità di portare tutti a messa.
Un ruolo che la chiesa ha un po’ perso negli ultimi anni, quello di coinvolgere le persone?
Non dobbiamo spacciare per buon prodotto ciò che non lo è, noi abbiamo la cosa più bella sulla faccia della terra, il vangelo, non c’è niente di paragonabile. Non dobbiamo far comprare, ma farlo risplendere perché chi l’assapora poi sa che non c’è niente di più buono. La Chiesa non deve avere timori di fronte a questa bellezza, a questo amore che è Gesù Cristo, ma con questa certezza dell’amore che ha vinto la morte possiamo aiutare ognuno a cercare la propria strada.
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