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Don Fabio Rosini e i trent’anni delle “Dieci parole”. Un cammino presente anche a Senigallia

1993. Roma nord. Parrocchia Santa Maria Goretti. Al vice parroco, un 30enne appena ordinato sacerdote, è stato chiesto ormai da due anni di seguire una quindicina di 16enni. “Praticanti non credenti”, come lui definisce la stragrande maggioranza dei giovani che frequentano le parrocchie: “bravi ragazzi, ma estranei ad un incontro veramente significativo con la vita nuova”. Come aiutarli a incontrare Cristo nel quotidiano? Quel sacerdote è don Fabio Rosini, attuale direttore del Servizio per le vocazioni del Vicariato di Roma. Dai quesiti che si pose 32 anni fa su come seguire quei giovani è nato, due anni dopo, il percorso de “I Dieci Comandamenti”. Una scuola di fede che passo dopo passo, catechesi dopo catechesi, sviscera ogni comandamento per farlo “sperimentare vivo”, a chi è lontano dalla Chiesa, “non in chiave moralista, ma costruttiva”. A distanza di 30 anni, l’esperienza delle Dieci Parole si è diffusa a macchia d’olio con il solo passa parola. Oggi si tengono catechesi in 17 parrocchie romane, in circa 70 diocesi italiane – tra cui Senigallia – dal Piemonte alla Sicilia, dal Veneto alla Puglia, fino a valicare i confini nazionali diffondendosi in Spagna, Irlanda, Brasile, Bolivia, Croazia, Albania, Argentina, solo per citare alcuni Paesi. Il 30° anniversario delle catechesi celebrato martedì 12 settembre con una Messa presieduta dal cardinale vicario della diocesi di Roma, Angelo De Donatis, nella basilica di San Giovanni in Laterano.

Rileggendo la genesi di un viaggio che dal Monte Sinai continua fino ai nostri giorni, don Fabio ricorda che inizialmente tentò di rifiutare l’incarico di seguire quei giovani che gli erano stati assegnati. Poi iniziò a conoscerli. “Erano adolescenti che facevano del cristianesimo un orpello e percepii che non avevano punti di riferimento – dice -. I padri erano brave persone ma deboli. Quegli adolescenti, figli di sessantottini, dovevano incontrare i ‘no’ paterni, i bordi, i limiti. Dovevo introdurli al cristianesimo e fare un viaggio che permettesse loro di aprirsi alla Grazia di Dio”.

Per passare dalla Legge alla Grazia, don Fabio riconobbe che prima era utile conoscere la legge che non per errore il Signore ha dato a Mosè, come il pedagogo di cui parla S. Paolo perché “prima è necessario fare la diagnosi e poi assegnare la cura”. Non si tratta quindi di un elenco di divieti e limitazioni. Il decalogo, spiega il sacerdote, è “la descrizione di una vita bella, piena, quella vita che in Cristo è portata a compimento, come dice Gesù stesso: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. (Mt 5,17). In sostanza: nelle 10 Parole il Signore prima ancora di chiedere obbedienza a noi, descrive se stesso. Lui è quella vita bella”. Una vita grande di cui si ha un assaggio già nelle prime ore di catechesi quando si scopre che è possibile liberarsi dalle tante e spesso ignorate schiavitù quotidiane. Il primo tema che colpisce gli uditori, infatti, è quello dell’idolatria che porta alla scoperta del rapporto “divinizzante” con gli oggetti o con le persone fino a diventarne dipendenti. Lo studio della cosiddetta teologia dell’alleanza è arricchito da esempi di vita concreta offerti in modo semplice e schietto. Chiave di volta del percorso è infatti il linguaggio, “tema fondamentale diventato anche oggetto di formazione di tanti giovani sacerdoti” afferma don Fabio. Per comunicare la fede e spiegare il Decalogo si usa infatti un linguaggio didascalico-formativo che si inserisce fra “il kerygma, cioè l’innesco della vita cristiana, e la morale che è il punto di arrivo – dice Rosini -. Il processo di addestramento e di discepolato che appartiene al linguaggio didascalico è fondamentale perché mentre tutti pensano che i Dieci Comandamenti siano esclusivamente un testo etico, uno studio più oggettivo del testo li rivela per quel che sono, il frutto di un processo sapienziale, una saggezza maturata e condensata in forma di testo legale, contenendo quindi, in se, fondamentalmente, le tracce di un itinerario sapienziale, il Decalogo è saggezza di vita, è l’esperienza di una vita bella”.

Fin dal primo istante, quando il percorso riguardava un ristrettissimo gruppo di 16enni, don Fabio avvertì che esso stava diventando una risposta dello Spirito Santo al tempo presente. “Ho subito capito che avevo per le mani una cosa enorme – spiega -. Con i miei collaboratori abbiamo attivato un sistema che permettesse di replicare tutto quello che facevamo. Non perché speravamo che qualcuno riproducesse il percorso ma perché non fosse un’esperienza solo nostra bensì cattolica”.

Altro punto di forza del cammino delle Dieci Parole è che il sacerdote si è sempre avvalso di collaboratori. “Si parla molto oggi di sinodalità – prosegue -. Io l’ho praticata sempre in maniera totale collaborando con laici e altri preti”. In questi decenni sono stati migliaia i ragazzi che hanno partecipato alle catechesi e centinaia i sacerdoti e i religiosi che continuano a promuoverli nelle proprie comunità. Purtroppo mancano appositi spazi. Negli anni tante le chiese e i teatri parrocchiali gremiti oltre ogni limite per gli incontri settimanali. La carenza di luoghi appositi impedisce al sacerdote e ai suoi collaboratori di programmare catechesi per over 35 “che ne avrebbero disperatamente bisogno”. Attualmente don Fabio tiene le catechesi per under 35 nella basilica di San Lorenzo Fuori le Mura dotata di antistante ampio parcheggio.

Tirando le somme sui frutti di questo percorso, al sacerdote vengono in mente tante storie e tante vocazioni maturate negli anni che, ci tiene a specificare, “sono tutte opera di Dio. Io non suscito vocazioni, è Dio che lo fa, e io poveramente accompagno in questo cammino di scoperta”. In 30 anni “è rimasta intatta la potenza della Parola – dichiara don Rosini -. Lo scopo è quello di portare i ragazzi a volgere lo sguardo a Cristo, orientarli al Signore Gesù. Sono però cambiati gli uditori. Negli anni ’90 dovevo fare il padre. Essere forte, serio, chiaro, parlare con autorevolezza. Ora i ragazzi sono molto più fragili. Hanno genitori in crisi di identità, se parlo con forza mi si spezzano”. Da ogni parola deve quindi emergere la speranza, ogni problema deve fornire la soluzione. “Bisogna costruire sempre, specie in questo momento storico – ribadisce don Fabio -. La pandemia li ha sfibrati e resi vulnerabili. I giovani sono bellissimi. Se dai loro fiducia sono meravigliosi, creativi, sorprendenti. Bisogna guardarli con amore”.

Don Fabio, docente del corso Bibbia e comunicazione della fede alla Pontificia Università della Santa Croce, per il futuro spera di avere spazio e tempo per la formazione di giovani sacerdoti, e “trasmettere quella creatività che li induca ad organizzare percorsi analoghi alle Dieci Parole. Si deve valorizzare il ‘munus docendi’ cioè aiutare i preti a ri-diventare maestri della fede, addestratori alla vita cristiana”.

a cura di Roberta Pumpo

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