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E stette in mezzo a loro

Festeggiare la Pasqua al tempo del Covid-19

Provo a guardare con gli occhi di un bambino. Di uno di quelli che magari tutte le domeniche vengono a Messa in Parrocchia e il sabato non mancano mai al catechismo, ma anche di quelli che si vedono più raramente, che non sono “di casa” in Parrocchia. Guardo con i loro occhi, e vedo questo: forse per la prima volta la casa in cui vive è diventata Chiesa. Certo, non c’è quello strano gesto in cui il sacerdote stende le mani sul pane e sul vino e dice che sono il corpo di Gesù, ma è comparso un tavolo o un angolino (magari dove di solito teneva i giochi) in cui la sera, o al mattino, tutta la famiglia si ritrova per pregare insieme. Lungi dal mettere tutto questo sullo stesso piano dell’Eucaristia (ci mancherebbe!), ma quella casa, improvvisamente, è diventata una cappellina: quel bambino ha forse scoperto per la prima volta che il Signore lo incontra anche lì, nel suo salotto, che magari fino a un mese fa era proprio il rifugio per non andare in Chiesa. Provo ora a guardare con gli occhi di un genitore. Di uno di quelli sempre presenti, ma anche di quelli che portano il figlio a catechismo perché “devono”, che dicono di credere in Dio ma non nella Chiesa, che sostengono che Dio loro se lo pregano come, quando e dove vogliono. Guardo con i suoi occhi: vedo l’imbarazzo iniziale di mettersi accanto a tutta la famiglia per accendere una candela, o per baciare un’immagine, o per dire una preghiera insieme prima di darsi la buonanotte. Dopo questo iniziale (e comprensibilissimo) imbarazzo, vedo però balenare dentro di lui un pensiero: “ma è davvero così semplice?”. Forse, per la prima volta, avrà scoperto che il Signore del mondo, della vita e della storia è anche il Signore del suo salotto, dei suoi figli, della sua piccola abitazione, del suo oggi. Certo, né il bambino né il genitore saranno diventati più preparati, più maturi nella fede (per quello sono indispensabili le nostre comunità cristiane) ma sono assolutamente convinto che si sarà verificato un qualcosa di tanto caro a Papa Francesco: si sarà innescato un processo. Tutto questo mi affascina: è proprio vero che il Signore scrive dritto sulle righe storte, sa trarre grazia da situazioni oggettivamente sfavorevoli!Forse abbiamo fatto un passetto in avanti nel riaccostare due parole tante volte usate ma mai realmente avvicinate: Chiesa e casa. E allorachiedo al Signore che questa meravigliosa riscoperta (e siamo solo all’inizio!) della “chiesa domestica” non resti legata solo all’emergenza che stiamo vivendo, ma sia un vero punto di ripartenza per una pastorale diversa, una catechesi più vera, un annuncio più bello. Qualche giorno fa un amico sacerdote mi ha condiviso un messaggio arrivatogli da un genitore: “Giorni difficili […] l’unico momento in cui ci sembra di respirare, è quando tutti insieme ci fermiamo per una preghiera. È il momento più bello della giornata”. Se rimettessimo l’immagine di “Chiesa domestica” in soffitta una volta tornati alla normalità, allora sarà il segno più evidente che non ci avremo capito niente.

don Emanuele Piazzai

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