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Don Bernardini è il nuovo presidente dell’Acec

Guarda al dopo-pandemia don Gianluca Bernardini, neoeletto presidente nazionale dell’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec). Pensa ai primi passi da compiere, quando la pandemia volgerà al termine, ma non distoglie lo sguardo neppure dal tempo presente. Si sofferma, dunque, sulla crisi attuale del settore cinematografico e sul suo impegno per il prossimo quadriennio. Attuale presidente Acec Milano e referente per il cinema e il teatro della diocesi ambrosiana, il sacerdote è stato membro del direttivo nazionale della scorsa presidenza. Subentra alla guida dell’Acec, al posto del presidente uscente, don Adriano Bianchi.

Come accoglie questa nomina?
L’accolgo con entusiasmo soprattutto per la fiducia che mi è stata manifestata dalle delegazioni territoriali dell’Acec con le quali in questi anni ho sempre collaborato, essendo stato nel direttivo nazionale della scorsa presidenza. Da una parte, c’è il grazie e la disponibilità al servizio, dall’altra apprensione per il futuro che ci aspetta, affinché l’associazione possa essere attiva e presente a supporto delle 800 sale della comunità presenti sul territorio italiano. La mia è una presidenza nel solco del precedente lavoro fatto da don Adriano Bianchi che ringrazio e stimo. Quindi, voglio continuare un lavoro che eredito di rinnovo delle situazioni territoriali.C’è una tradizione che porteremo avanti in uno spirito di crescita e di valorizzazione delle singole Acec territoriali presenti nelle diocesi italiane.E poi di valorizzazione dell’associazione stessa a livello nazionale in collaborazione con tutte le associazioni di categoria che operano nello stesso campo.

Qual è la sfida più grande che l’aspetta?
La preoccupazione è il Covid e il post-Covid che ha messo in crisi l’esercizio, a fronte della chiusura delle sale in Italia. Quindi, la preoccupazione sarà la ripartenza. Il mio lavoro, assieme alle altre associazioni e alle istituzioni, sarà affinché si possa ripartire nel migliore dei modi, guardando con fiducia e speranza al futuro.

Quanto incide per voi la crisi attuale per la pandemia?
La crisi attuale non ci permette di fare quello che abbiamo sempre fatto, essendo anche noi presìdi culturali unici sul territorio: non abbiamo potuto esercitare appieno la nostra missione, anche a supporto pastorale delle varie realtà ecclesiali. Questo è stato sicuramente limitante. Il tempo che abbiamo vissuto è stato, però, un tempo attivo: abbiamo prodotto anche iniziative che hanno supportato le sale, prima di tutto a un livello economico, con i ristori, perché le associazioni di categoria hanno contribuito con i fondi che sono stati dati. Poi, anche a livello creativo, con webinar, cineforum online, con proposte di formazione pastorale. Le saracinesche sono state abbassate ma la presenza e il nostro supporto formativo e culturale non sono mai venuti meno.

Secondo lei, qual è la priorità nella ripartenza?
Ripartendo, la prima cosa da fare è incontrare nuovamente il nostro pubblico, riportare il pubblico in sala. Cioè ricerare qualla fiducia, che è il nostro terreno, con la gente che ha sempre abitato le nostre sale dalla comunità. Sono le stesse persone che hanno usufruito e riconosciuto il potenziale e il valore delle nostre proposte, che non sono solo cinematografiche, ma utilizzano anche altri linguaggi, come il teatro e la musica. Dal momento che le nostre realtà sono polifunzionali. Ciò distingue una vera e propria sala della comunità.

Quali saranno le direttrici del suo impegno per il prossimo quadrienno?
Assieme al direttivo, eletto oggi, la mia azione sarà quella di continuare l’attività, che è stata proposta in questi anni, di animazione culturale e pastorale. Cercheremo poi di affrontare le problematiche e anche i temi che il post-Covid metterà sul piatto e chiederanno una risposta valoriale.

Quali sono state per voi le ricadute di questa crisi?
Per noi la sala resta centrale come luogo di fruizione del cinema. Ciò significa che la sala non ha fatto altro che subire questo tempo, a causa di un livello di produzione e di distribuzione che non ha prodotto più di tanto. Già questo è un punto di domanda sulla riapertura. Perché qualora riaprissimo, quali prodotti avremmo a disposizione? E ancora: Come potremmo portare le persone in sala? Ma, soprattutto, a vedere che cosa? Attualmente la situazione del cinema negli Usa è peggiore di quella italiana. Credo che anche l’industria cinematografica sia venuta meno.

Quanto è forte la crisi per l’industria cinematografica?
Si tratta di una crisi fortissima. Dobbiamo pensare non solo agli artisti che hanno potuto sopravvivere in qualche modo alla situazione attuale, ma anche al mondo che sta dietro a una produzione e a una distribuzione del film, come le maestranze, i creativi e gli autori. La pandemia ha messo in crisi e in mora una certa produzione, che chiede, alla riapertura, di essere rimessa in campo e supportata.

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