Skip to main content

Domenico Corvi, il pittore vicino

L'ingresso alla pinacoteca diocesana di Senigallia: lo scalone vanvitelliano
L’ingresso alla Pinacoteca Diocesana di Senigallia: lo scalone vanvitelliano

Si sono festeggiati in questo 2021 i 300 anni dalla nascita del pittore italiano Domenico Corvi, avvenuta a Viterbo il 16 settembre 1721. Il Corvi, che ebbe come maestro il pittore barocco e rococò Francesco Mancini, dopo aver ottenuto importanti lavori a Roma, nella seconda metà del 1700 spostò la sua attività nelle Marche per rispondere alle numerose committenze del Conte e Cardinale Bernardino Antonelli.

Tra queste opere le più importanti e note sono ubicate nel senigalliese: principalmente sono la tela di Sant’Emidio collocata, assieme alla pala della Trinità con la Maddalena e San Paolino, all’interno del Duomo di Senigallia, e un altro dipinto, considerato forse il suo miglior lavoro. Realizzato nel 1773 per la Chiesa dei Conti Antonelli presso la loro villa a Brugnetto di Senigallia, venne ritratta, sembrerebbe per la prima volta nella storia della pittura, una pietà al maschile dove Dio è Padre e Madre.
Un’altra pala d’altare, nella quale troviamo rappresentato San Giovanni Evangelista a Patmos, è conservata invece presso la Chiesa di San Francesco a Pergola, la città natale degli Antonelli.

Santa Lucia, Domenico Corvi, olio su tela, secolo XVIII (1740 – 1760)

Poiché questa settimana si è aperta con il ricordo della figura di Santa Lucia ho pensato di omaggiare Domenico Corvi presentando una sua opera che possiamo trovare esposta all’interno della Pinacoteca Diocesana di Senigallia. Il dipinto in questione è un olio su tela del XVIII secolo raffigurante la giovane martire, racchiuso in una cornice ovale con piede, in legno marmorizzato, dello stesso periodo.

Nell’opera, che ci mostra una Santa Lucia il cui inconfondibile emblema è dato dagli occhi sul piatto e dalla foglia di palma, netta è la somiglianza con un altro dipinto datato 1749 (o 1750) commissionato dalla Confraternita di Sant’Orsola di Viterbo, in cui l’evangelista Giovanni è rappresentato con nella mano sinistra un libro (il Vangelo) e un calamaio e nella destra una penna. Nel tondo viterbese il tutto è reso nei minimi particolari, evidenziati, come nell’opera di Senigallia, dal forte contrasto tra il fondo scuro e la luce proveniente da sinistra che illumina la scena.
Il dipinto conservato in Pinacoteca raffigura Santa Lucia, riccamente vestita, che, con lo sguardo rivolto al cielo, tiene nella mano sinistra una foglia di palma, simbolo del martirio, mentre indica con la destra un piatto, appoggiato sul tavolo davanti a lei, con gli occhi.

Lucia, una delle sette donne menzionate nel Canone Romano, è vissuta a Siracusa e morì martire sotto la persecuzione di Diocleziano, il 13 dicembre 304, per mano del prefetto Pascasio.
Anche Dante Alighieri e Cristoforo Colombo furono, a quanto pare, suoi grandi devoti: il primo, che attribuì alla sua intercessione la guarigione da una grave infermità agli occhi, la ricordò pure nella Divina Commedia, mentre il secondo diede a un’isola delle Piccole Antille, scoperta proprio il 13 dicembre, il santo nome della nobile ragazza siracusana.

La testimonianza più antica del culto di Lucia risale a un’epigrafe marmorea del IV secolo ritrovata nelle catacombe di Siracusa e già nel 384, a ottant’anni dalla morte, le venne dedicata una chiesa a Ravenna. Oggi, in tutto il mondo, innumerevoli sono le opere d’arte ispirate alla figura della Santa, in cui la fanciulla è solitamente rappresentata con gli occhi in mano o poggiati su un vassoio. In merito a ciò occorre sapere che l’uso degli occhi come attributo iconografico non è, a differenza di altri casi, un richiamo al suo martirio ma piuttosto al fatto che il suo nome derivi dal latino lux, cioè luce.

Marco Pettinari

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.