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Disagio giovanile, Lavenia (DiTe): «Educazione, dialogo e conoscenza possono prevenire tragedie come quella di Senigallia»

scuola, banchi, classe, insegnamento, educazione

Bullismo e rapporto tra pari, questioni familiari, ritmo della società di oggi, aspettative e gestione delle emozioni e frustrazioni. Nella nuova puntata di “20 minuti da Leone” si parla di tutto ciò, considerando la tragica vicenda del 15enne che si è tolto la vita a Senigallia. Un giovanissimo, un adolescente che non ha trovato soluzioni. E allora cerchiamo di approfondire qual è la situazione tra isolamento ed esplosioni di violenza e quali i possibili percorsi per intercettare il disagio giovanile. Lo facciamo con il professor Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e divulgatore scientifico, nonché presidente dell’associazione nazionale Di.Te. Dipendenze tecnologiche, gioco d’azzardo patologico e cyberbullismo. L’intervista è in onda su Radio Duomo Senigallia (95.2 FM) mercoledì 16 e giovedì 17 ottobre alle ore 13:10 e alle ore 20, con un’ulteriore replica domenica 20 a partire dalla 16:50 (la seconda di tre interviste). L’audio integrale è disponibile in questo articolo assieme a un estratto in formato testuale.

Lei è intervenuto per circostanziare la tragedia che è successa a Senigallia in un ambito ben preciso, quello del bullismo.
Ancora non è chiara, ma sembra che ci sia dietro il bullismo ed è in fortissimo aumento: un ragazzo su tre dice di aver subito una situazione di bullismo o cyberbullismo. Dobbiamo iniziare a pensare che le parole non sono mai un gioco, possono essere armi potenti e quindi bisogna a mio avviso avviare un processo strutturato sia all’interno delle scuole, perché le scuole hanno necessità di avere programmi di educazione all’empatia, al rispetto, all’emotività. Sono qualcosa di importante e non possiamo agire solo rincorrendo l’emergenza: potremmo ridurne i casi.

Cos’è il bullismo, come si manifesta, quali caratteristiche ha?
Il bullismo è un atto ripetuto nel tempo verso qualcuno, può essere legato all’aspetto fisico o a delle caratteristiche personali, naturalmente non è un semplice atto di violenza che avviene una tantum, una volta e non si ripete, ma nel caso del bullismo tende a ripetersi nel tempo. Abbiamo una legge nazionale sul bullismo e sul cyberbullismo, ma non credo che sia la repressione la soluzione per risolvere questi casi: è l’educazione a fare la differenza. Il 40% di chi ha subito un atto di bullismo tende ad isolarsi, quindi allontanarsi dagli amici, dagli sport, dai luoghi della socialità e questo amplifica ancora il sentimento di solitudine e naturalmente più si è soli, più si ha difficoltà a esternare queste emozioni, più si può andare verso pensieri anche molto molto negativi.

Il bullismo fondamentalmente c’è sempre stato, ora non è una giustificazione, ma come mai adesso se ne parla come di un fenomeno insostenibile?
Gli indicatori della salute mentale ci dicono che i ragazzi sono in difficoltà e diventano aggressivi: il 51% dei ragazzi fa fatica a immaginare il futuro e il 70% quando lo immagina lo fa con ansia. La rabbia è il meccanismo attraverso il quale si rappresenta la depressione in età adolescenziale, quindi più ragazzi arrabbiati, più avremo esplosioni di bullismo o di aggressività o di violenza, insomma i fatti di cronaca ogni giorno ci raccontano di queste esplosioni e questo è proprio legato al concetto di benessere psicologico e di salute mentale che in Italia è molto sottovalutata. In Italia i casi di tentativi di suicidio sono aumentati nella fascia adolescenziale del 75% rispetto a prima della pandemia. La media è un tentativo di suicidio al giorno fra gli adolescenti.

Quali cause?
Non possiamo pensare che la causa esclusiva possa essere il bullismo, ma il malessere è la mancanza di desiderio da parte dei ragazzi. Stiamo crescendo ragazzi tendenzialmente isolati e depressi, abituati ad avere tutto e subito attraverso la tecnologia, incapaci molto spesso di gestire la frustrazione e le emozioni: possono apparire normali e poi abbiamo esplosioni o verso gli altri o molto spesso anche verso noi stessi. Da un lato c’è una mancanza di consapevolezza del disagio, dall’altro abbiamo ancora il pregiudizio sulla salute mentale o sul raccontare questi fenomeni, perché un ragazzo che viene preso in giro molto spesso si vergogna a raccontarlo e molto spesso, quando questo viene raccontato, può essere anche sottovalutato da noi adulti, da noi genitori.

Che strumenti hanno i genitori e le famiglie per individuare e magari comprendere certi fenomeni?
L’osservazione è uno dei primi strumenti: se vediamo che ci sono dei cambiamenti repentini, se vediamo che c’è un inizio di isolamento sociale, che il ragazzo inizia a andare con difficoltà a scuola, che fa difficoltà magari a mantenere lo sport che ha sempre praticato, allora lì dobbiamo iniziare a capire cosa sta accadendo; sta esprimendo sicuramente una difficoltà. Sono tutti i segnali che noi dovremmo vedere, ma sono anche complessi e difficili da valutare. Noi genitori molto spesso andiamo molto di fretta, siamo iperimpegnati, abbiamo una società che pretende tantissimo e quindi abbiamo molto poco tempo a disposizione a volte per i nostri ragazzi e dall’altro i ragazzi di oggi vivono in una società che è molto più competitiva, molto più complessa e anche molto più pericolosa.

Giuseppe Lavenia
Giuseppe Lavenia

Che relazione c’è con il periodo pandemico?
Sicuramente abbiamo avuto un peggioramento, consideri che due anni di un adolescente chiuso dentro una stanza non sono due anni di un adulto chiuso dentro una stanza, chi non si è potuto curare sicuramente è peggiorato; dall’altro abbiamo avuto anche una sottovalutazione di quello che è stato tutto questo periodo, non è un caso che abbiamo un aumento dei disturbi del comportamento alimentare, disturbi ansiosi, disturbi depressivi, tutti i parametri ci dicono che la pandemia è stata qualcosa che ha messo in difficoltà non solo gli adulti, ma soprattutto i ragazzi.

Come ne usciamo?
C’è bisogno di un intervento strutturale: parlare di bullismo senza parlare di benessere psicologico e senza parlare di impianti stabili dentro la scuola, non va bene, dobbiamo cercare di prevenire questi fenomeni e non attivarci quando i fenomeni sono già presenti. In Italia non abbiamo ancora lo psicologo nelle scuole: in questo momento qui qualunque sportello psicologico si apre, si riempie in pochissimo tempo. Il bonus psicologo ha avuto un 70% di domande fatte da ragazzi sotto i 30 anni, quindi vuol dire che c’è un bisogno enorme.

Questi segnali, chi li deve cogliere?
Sicuramente la famiglia è il primo interlocutore, il primo referente del ragazzo, la scuola dall’altro lato può essere qualcosa che dovrebbe educare anche di più alla parte affettiva ed emotiva, ma i nostri programmi didattici sono vecchi, abbiamo omesso completamente tutta la parte dell’educazione alla sessualità, all’affettività. Serve fare promozione della salute, promozione del benessere psicologico e questo ad ora non c’è.

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