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Dio non nasce su Netflix

È iniziato domenica 29 novembre l’Avvento, il tempo forte dell’Anno liturgico che prepara al Natale. Quest’anno è un Avvento segnato dalla pandemia, dalle restrizioni, dal distanziamento fisico, dall’impossibilità di tenere “dal vivo” nelle parrocchie incontri e momenti di riflessione (dai timori anche nella partecipazione alle celebrazioni, dalle misure anti-Covid che accompagnano le Messe e la vita ecclesiale. Su Radio Duomo abbiamo fatto una chiacchierata con don Andrea Franceschini, parroco di Marzocca e Montignano e assistente diocesano di Azione Cattolica.

Cambia il significato dell’Avvento in tempo di covid-19?
Questa pandemia è un pezzo della nostra vita reale, non una parentesi, un incubo o un imprevisto passeggero. La prima cosa che direi è: cerchiamolo qua dentro il Signore che nasce, non da qualche altra parte immaginaria.
“Sarebbe bello avere un po’ di tempo per pregare in tranquillità, entrare nella propria stanza e stare col Signore senza la fretta di impegni, aperitivi, cene!”. “Oh, potessimo stare un po’ più a casa senza correre ogni avanti e indietro al lavoro!”. “Vorrei non vivere il Natale solo nei centri commerciali con l’ansia dei regali e del cenone!”. “Come sarebbe prezioso un tempo in cui accorgersi non solo dei soliti amici ma anche di quelli che passano soli il Natale, di quei vicini di casa anziani o di quei fratelli e sorelle in qualche paese lontano tra le guerra e la miseria..”.
Tutti questi desideri, tante volte ascoltati negli anni scorsi: sembra quasi umoristico vedere come la vita oggi ci sfida presentandoci un tempo che ha proprio queste caratteristiche. La realtà ci mette alla prova e rivela quello che veramente c’è dietro le nostre maschere dell’abitudine e della convenienza sociale. È un avvento questo che potrebbe essere ricco di grazie nascoste, di delicatezza del cuore, di attenzioni nuove alla vita interiore ed insieme ai fratelli in difficoltà: quelli per cui il Natale è comunque malattia ed ospedale, timore di perdere il lavoro, solitudini immerse in ore di TV accesa, un disabile grave da gestire oltre che da amare, la paura di non farcela.

In che modo i singoli fedeli e le comunità cristiane possono aiutarsi a vivere meglio questo momento tra l’attesa del Natale e l’attesa del termine della pandemia?
Il popolo ebraico questo ripensava ai 70 anni di esilio in Babilonia diceva che il Signore li aveva lasciati così “a riposo” lontani dalla patria per scontare tutti i sabati che avevano violato. Il Sabato per il pio israelita è il giorno della calma, del tempo dedicato alla Torah (la Parola di Dio), alla famiglia, senza lavori fisici e senza allontanarsi da intorno a casa propria. Tempo di riposo contemplativo per ritrovarsi amati ed accompagnati da Dio nella semplicità del proprio luogo di vita ordinario. Ecco, chissà se anche noi possiamo approfittare di questo tempo di prova per “scontare” la nostra frenesia, il nostro attivismo che soffoca la Parola e la preghiera, sia intima che comunitaria, rendendo superficiali le nostre relazioni, mondani o invidiosi i nostri desideri, e – diciamolo – sempre più arido e cinico il cuore. Quanto spesso papa Francesco sta cercando di risvegliarci dal rischio di essere solo una somma di consumatori e spettatori! Attendere il Signore che nasce in noi e tra di noi, prima che voler sapere quando finirà questa prova: approfittare della nuova traduzione del Padre nostro “non abbandonarci alla tentazione” che in linguaggio biblico è ogni prova.

Che Natale si immagina quest’anno?
Gesù è nato duemila anni fa con i “pii e fedeli” ben tranquilli nei loro affari, ruotine ed impegni mentre solo i pastori, quei poveracci, furono giudicati pronti dagli Angeli per essere attenti a ciò che di nuovo stava accadendo. Se fosse questo l’anno buono per noi per arrivare in tempo a Betlemme, prima che Gesù, Maria e Giuseppe se ne vadano a cercare altri “poveri in spirito” pronti a gioire con loro del cielo che è finalmente sceso sulla terra? Il cristiano soffre e sente le gioie ed i dolori del mondo, come ogni uomo ed ogni donna; ma non ha paura, ed un sorriso di pace gli nasce e rinasce ogni volta negli occhi. Mi immagino un Natale lieto, profondamento allegro, perché colmo – nel cuore e nel pensiero – di tantissimi volti che avevamo dimenticato o scartato, avendo un po’ più imparato ad “amare i lontani come se fossero vicini”, come diceva Francesco d’Assisi. Buon avvento allora a tutti, contagiati di speranza, direi!

a cura di Antonio Marco Vitale

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