Contro il piano cave della Provincia accolto anche l’appello di Italia Nostra – sezione di Arcevia
Contro il piano cave della Provincia di Ancona sul bacino estrattivo di Monte Sant’Angelo è stato accolto dal Consiglio di Stato anche l’appello di Italia Nostra – sezione di Arcevia. Confermati alcuni dei motivi già accolti con il ricorso effettuato dal Comune di Arcevia: si è accertata la mancata valutazione degli impatti cumulativi con le altre cave pregresse ed attive nel territorio più complessivo e il mancato aggiornamento delle stime degli effettivi fabbisogni per quel tipo di materiali.
Soddisfatto Andrea Astracedi, presidente della sezione di Arcevia di Italia Nostra Onlus, il quale ha commentato così la notizia: «Auspichiamo che dopo quasi 19 anni di vertenze la Provincia di Ancona, assieme alla Regione Marche, voglia davvero voltare pagina, e considerare attentamente la necessità di effettuare una pianificazione moderna, priva di scelte preconcette, e che sia supportata da una metodologia corretta. Vogliamo sperare dunque che anzitutto sia rivisto il metodo, non solo che sia abbandonata l’opzione del Monte Sant’Angelo per i numerosi motivi di ordine ambientale che anche il Consiglio di Stato ha considerato sia pure in senso generale e cioè in particolare l’aspetto idrogeologico».
Italia Nostra sottolinea la necessità di una rinnovata attenzione per le tematiche ambientali, non a caso di scottante attualità, che si ricollegano direttamente alle cave e ai loro impatti: «bisogna regolamentare il consumo di suolo, applicare le leggi in materia di riciclo degli inerti nonché far progredire la legislazione in quella materia, bisogna elevare il livello di effettiva tutela idrogeologica» spiega Astracedi.
Un’ultima considerazione va fatta leggendo la vicenda anche in chiave economica: il territorio è nel frattempo mutato, l’attenzione si sta spostando verso il settore turistico – che secondo Italia Nostra «va gestito con cautela» – ma soprattutto verso le produzioni tipiche di qualità, «le quali richiedono la sussistenza di comunità coese, vive e non disarticolate da dinamiche di abbandono in cui concorrono anche quelle politiche disattente che finiscono per favorire speculatori di vario genere, attori economici ‘mordi e fuggi’. A tal proposito siamo anche preoccupati per lo scenario che l’inchiesta soprannominata Fango e Cash sta mettendo in luce, scenario che potrebbe offrire l’esempio di ciò che non dovrebbero mai diventare le aree troppo presto definite marginali».
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