La Colombia raccontata da Flavia Famà: a Senigallia la presentazione del suo libro
Non può non partire dalla guerriglia personale, quella vissuta a casa sua, quando Cosa nostra ha condannato a morte suo padre, l’avvocato Serafino Famà, ucciso a Catania nel novembre 1995 per non aver acconsentito alle richieste di un capo mafia. Flavia Famà era a Senigallia, sabato scorso, invitata dal Presidio locale di Libera ‘Attilio Romanò’ per presentare il suo libro “I morti non parlano”, edito da Villaggio Maori Edizioni. Dalla sua Sicilia, passando per Roma, dove è stata intercettata da Libera, fino alla lontana Colombia. Un Paese, quello sudamericano, metafora del mondo contemporaneo, con i suoi morti – migliaia – e le tante verità taciute. Flavia lo frequenta grazie a Libera internazionale ed ai suoi viaggi di conoscenza e da quell’esperienza non se ne libera più, tanto da arrivare a scriverne un libro per farci conoscere meglio la sua travagliata, violenta storia. Il suo lavoro editoriale, ben più di una semplice ricognizione di quanto è stato ed è tutt’ora a quelle latitudini, è un invito forte ad accendere l’interesse per una realtà che chiede giustizia, anzitutto nel modo di essere raccontata e proposta alla pubblica opinione.
L’abbiamo incontrata in un’assolata domenica mattina, in una pausa marinara, prima di riprendere il viaggio con il suo libro, la sua Colombia, la sua voglia di giustizia, ovunque questa sia negata, smisconosciuta, tradita.
È qualcosa che ci riguarda. Lo dice spesso presentando il suo lavoro nel giardino di Factory Zero Zero (nella foto), perché di ‘cose nostre’, dentro quelle pagine, ce ne sono tante e tutto è molto più connesso di quanto possiamo pensare: narcotrafficanti, proprietari terrieri, multinazionali, paramilitari, governi corrotti e collusi. Nonostante la parola “pace” sia risuonata nei network di tutto il mondo nel 2016 grazie ai famosi accordi, per la popolazione la la pace, quella vera, è ancora lontana. Sono milioni le vittime: di sfollati, i desplazados, nel 2010 se ne contavano 250mila; 8 milioni dal 1985 al 2020; 120 mila i desaparecidos; migliaia i falsos positivos, cioè coloro che dopo essere spariti sono stati dichiarati morti in combattimento, pur non avendo nulla a che fare con la guerriglia. “Una delle particolarità del conflitto colombiano è la contemporanea esistenza di diversi conflitti e di vari gruppi armati, sia legali che illegali”, dice l’autrice. Con una passione contagiosa, necessaria. Quella che la lega così profondamente ad un padre, martire italiano di una giustizia ancora lontana, sempre più necessaria.
Laura Mandolini
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