Cinquanta per cinque: incontriamo don Giordano Stefanini
Cinque preti festeggiano quest’anno il loro cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Il 1971, infatti, seppur in date diverse, era stato particolarmente ricco di vocazioni e i ‘magnifici cinque’, nel tempo, hanno saputo donare alla nostra chiesa locale una presenza significativa. Forse perché il loro essere preti è iniziato in una stagione ecclesiale particolarmente vivace, il Concilio Vaticano II era finito da poco, la stessa identità sacerdotale tradizionale era stata fortemente interpellata dalle istanze sociali. E loro, ognuno con il proprio carattere, hanno vissuto con entusiasmo i primi passi di ministero.
Don Giordiano, qual è il ‘grazie’ più convinto per questi cinquanta anni di sacerdozio?
Leggendo il vangelo di domenica 12 settembre i versetti “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso”, rinunci a ideali di successo, di ambizioni, dipotere:“esollevilasuacroce”.Lacroce di Gesù significa accettare di perdere la propria reputazione, i propri ideali, non è un’imposizione ma una conseguenza di quanti lo vogliono seguire. Il grazie più convinto è “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamoserviinutili.Abbiamofattoquanto dovevamo fare” è il grazie di ogni giorno per i doni ricevuti, i servizi svolti e il seme sparso.
Nel dialogo spirituale con le persone, quali domande emergono di più?
Più che dialogo in questo periodo dovremo rivedere una certa ideologia dell’autonomia dell’individuo. Non per negare la giusta libertà ma per collocarla neilimitirelazionali.Dettodiversamente, la libertà possibile è solo insieme. Per difenderci dalla pandemia abbiamo imparato che bisogna procedere uniti, rispettando regole comuni. Nessuna società vive solo di diritti individuali, perché la libertà vive e prospera nelle relazioni, più salde le relazioni più solida la società. Abbiamo toccato con mano la nostra fragilitàequestacihalasciatisgomenti.
Il contatto costante con il dolore cosa insegna? Perché un prete in ospedale?
Il dolore non è diminuito magari ha cambiato aspetto, anziché incolpare Dio, ora per i misfatti si incolpa l’uomo. Per cui una volta si incolpava Dio, ora si sente il bisogno di incolpare l’uomo, si cerca di addossare la colpa ad altri. L’emancipazione però da sola non risolve il problema di fondo della vita. Ma c’è bisogno anche della redenzione che ci impone un confronto con Dio, non per giudicarlo, ma per ottenere luce e forza per apprezzare la vita. La sofferenza si rivelacontinuamentebancodiprovadella fiduciainDioedellafiduciadifondodella realtà un banco di prova che sollecita decisioni. C’è chisoffrendoconcretamenteimpreca contro Dio e cade nella incredulità c’è chi invece si converte alla fede e si sente trascinareadunafiduciaradicale.