Casa, amara casa
Comprare casa a Senigallia, come in tante altre pareti del nostro Paese, è divenuta una missione quasi impossibile. La città scommette sul turismo, è attrattiva e in tanti acquistano appartamenti per le vacanze al mare o per un investimento. Dinamiche che incidono molto sui prezzi falsando il mercato immobiliare e rendendo l’acquisto di una casa molto oneroso, soprattutto per le giovani generazioni. Sul tema abbiamo interpellato Anna Paola Fabri, reduce da un incontro nazionale sul diritto all’abitare promosso dal Cnca.
Quali sono i motivi che ostacolano oggi il diritto alla casa?
Una serie di fattori che si intrecciano tra loro. Appartiene alla nostra cultura l’idea che la casa sia un bene rifugio, un bene sicuro che non conosce crisi. La generazione del dopoguerra ha investito gran parte dei frutti del proprio lavoro nell’acquisire una casa; i più hanno fatto coincidere con il massimo del bene possibile per i propri figli l’opportunità di ottenere un titolo di studio ma anche l’acquisto di una casa, come simboli di benessere per il futuro. Quelli della “seconda” generazione hanno invece iniziato a capire che per mancanza di risorse economiche non sarebbero riusciti a garantire le stesse opportunità ai propri figli e, a mio avviso, hanno sviluppato un senso di attaccamento al privilegio che hanno ricevuto. Non che acquistare una casa o mantenerla non comporti dei sacrifici ma il valore del bene casa ricevuto in dote o acquisito con molti sforzi ha fatto sì che sfumasse il concetto di diritto ad una casa. Il senso di precarietà che stanno vivendo le persone ha contribuito ad acuire la tendenza a utilizzare in senso speculativo i propri beni. Ci troviamo di fronte ad una sorta di paradosso: chi oggi ha possibilità economiche tratta la casa come un bene da gestire, sul quale investire e con il quale accrescere il proprio benessere; chi versa in condizioni economiche precarie si appella ad un diritto all’abitare che resta inascoltato e incompreso perché attorno a chi non ha possibilità economiche la società è giudicante ed escludente. Se non hai una casa non ti sei sacrificato abbastanza; non hai saputo cogliere opportunità; sei debole. Quanti a dire: se devo pagare l’affitto per dieci anni allora prendo un mutuo e mi compro la casa… senza riflettere sul fatto che le persone senza tutele, senza supporti familiari e/o personali, con ridotte capacità economiche (che spesso coincidono con scarse risorse culturali, professionali, relazionali…) al bene casa non potrebbero mai aspirare. In questo senso si comprende perché anche la politica abbia fatto tanti passi indietro, conformandosi sempre di più a mentalità divisive e classiste. Senza governo dell’abitare e senza processi di educazione al diritto all’abitare, le nostre città si stanno trasformando in enormi agglomerati turistici più che in comunità di civile convivenza per tutti.
Il nostro territorio, la nostra città sono toccati da questa tendenza?
Ovviamente sì. I territori dell’entroterra si spopolano per mancanza di servizi; la speculazione edilizia avanza e per far fronte alla sempre crescente domanda di casa si continua a consumare il suolo e a costruire in maniera privata e speculativa ma non per i bisogni di residenzialità lunga. Le abitazioni vuote aumentano (per essere utilizzate come rendita) e non si interviene in alcun modo nel promuovere la ristrutturazione degli immobili lasciati inutilizzati.
Chi può tentare di invertire questa tendenza e come?
La politica e la cultura. Solo l’ente locale e le azioni politiche sono in grado di fare la differenza. Occorre sostenere l’edilizia popolare, la cura dei quartieri, la riconversione degli immobili pubblici per l’abitare, promuovere l’autocostruzione o forme di co-housing sociale, la detassazione per chi mette in locazione i propri immobili o una tassazione più gravosa per le locazioni brevi o per la gestione di B&B; La politica è saper mediare e valorizzare le differenze e perequare le disuguaglianze. La politica è visione perché si dibatte, si cercano soluzioni, si ascoltano gli esperti, si incontrano i cittadini; la politica dialoga con gli enti e i servizi sociali; con gli imprenditori edili e le associazioni del territorio per scovare le sacche di disagio e cercare risposte. La politica è collettore di interessi ma tutela i più deboli. E poi La cultura. Scuola, agenzie educative, luoghi associativi di base, enti di formazione e informazione possono rimettere al centro l’idea del diritto alla buona vita per tutti. Ciò significa offrire alle persone spazi di incontro, occasioni di partecipazione, sperimentazioni di buone prassi (co-housing anziani e studenti; anziani e famiglie straniere; coabitazione e utilizzo di spazi comuni…); significa prendersi cura dei beni comuni, le aree verdi, la segnalazione delle criticità, la prossimità come valore relazionale. La cultura riscrive gli assetti di un territorio e crea mentalità. Le idee danno dignità alle persone e futuro alle nuove generazioni.
Questo articolo è stato pubblicato
nel numero cartaceo di maggio
de La Voce Misena
Segui La Voce Misena sui canali social Facebook, Instagram, X e Telegram.