Alimenti conditi di salute
Pasta di eccellenza sequestrata perché «illegale». Illegale perché biologica e integrale. Era la fine degli Anni 70. Accadeva in Italia, in un paesino di 600 abitanti a quindici chilometri da Urbino, Isola del Piano. Qui, Gino Girolomoni e altri giovani contadini della zona avevano dato vita nel 1971 a una cooperativa. Erano giovani che credevano nel metodo biologico in un tempo in cui quasi nessuno lo praticava: precursori, con la «colpa» di essere troppo avanti rispetto ai tempi. Allora il bio non era ancora regolamentato: non esisteva il disciplinare e tantomeno la certificazione. «Scrivevano che era pasta da agricoltura biologica – racconta Giovanni Girolomoni, figlio di Gino – ed erano accusati di pubblicità ingannevole». Ma non solo. La stessa cosa succedeva quando scrivevano «pasta integrale». Il problema, qui, stava nel contenuto di ceneri. «Si tratta – spiega Giovanni Girolomoni – di un parametro tecnico che identifica l’integralità di un prodotto. Più il chicco è intero più il livello di ceneri è elevato. Ma per legge non si poteva chiamare pasta un prodotto che avesse un contenuto di ceneri alto».
Il risultato? La loro pasta bio e integrale era venduta all’estero (senza l’export in Francia e Germania forse non avrebbe retto). E in Italia per anni hanno dovuto riportare la dicitura «integrale di grano duro». Nemo profeta in patria, verrebbe da dire. Negli Anni 90, la normativa italiana sulla pasta è cambiata e il biologico è diventato una filiera di successo. Lo dicono i numeri: in base all’Osservatorio Fieragricola-Nomisma di gennaio 2020 l’Italia con 1,5 milioni di ettari coltivati bio ha il record europeo.
«La scelta del biologico – spiega Giovanni – non è stata un’idea lungimirante di chi aveva visto in anticipo un nuovo mercato, ma dettata dall’amore per la terra. E con la cooperativa mia padre ha anche contribuito a limitare l’abbandono di questi luoghi da parte dei giovani e lo spopolamento delle campagne». Una valenza sia ambientale sia sociale, dunque. Ma a Isola del Piano la cooperativa presieduta da Giovanni non ha dormito sugli allori. Dopo la coltivazione del grano, a fine Anni 80 è stato aggiunto un pezzo della filiera, il pastificio, per produrre la pasta in loco con essiccazione lenta. Nel frattempo, la cooperativa cresceva e oggi conta circa 250 agricoltori. Ed è andata avanti per completare il sogno di Gino, che nel 2012 è mancato. Dall’anno scorso c’è anche la fase di macinazione grazie al mulino. La pasta che oggi è in vendita se fatta dopo luglio 2019 proviene da una filiera completa, dal campo al piatto. «Quello di avere un molino di proprietà era il sogno di mio padre – dice Giovanni, che è presidente della cooperativa – ma fino a pochi anni fa non potevamo realizzarlo perché mancavano i numeri per garantirne l’efficienza».
L’entrata in funzione dell’impianto di molitura collegato al pastificio consente di controllare la lavorazione del grano in ogni fase, dalla coltivazione alla raccolta, dalla pulitura alla macinazione. «La contemporaneità divide e parcellizza tutto – afferma Giovanni Girolomoni – mentre a noi piace l’idea del tutto intero. Un conto è essere produttori di semola o fornitori di grano. Un’altra cosa è chiudere l’intero processo: ora da questa collina la produciamo dall’inizio alla fine e la commercializziamo». Nel 2019 la coop ha venduto ottomila tonnellate di pasta. «Prodotta interamente grazie a energie da fonti rinnovabili, autoprodotta con fotovoltaico e termico oppure acquistata certificata», precisa Giovanni Girolomoni. «E il magazzino – aggiunge – è stato costruito con tecniche della bioedilizia».
L’obiettivo adesso è quello di far capire che bisogna andare oltre il biologico, verso un sistema agricolo che sia anche etico e garantista un guadagno equo all’agricoltore. «Noi piccoli – spiega Giovanni Girolomoni – ci ritroviamo come concorrenti grandi gruppi industriali che riescono a offrire prezzi bassi con prodotti civetta perché ammortizzano la vendita sottocosto con altri prodotti». Per chiudere il cerchio della sostenibilità sociale e ambientale siamo chiamati in causa noi consumatori. Nel primo caso, con la disponibilità di pagare un prezzo che permetta la sopravvivenza dei piccoli agricoltori e nel secondo caso con un consiglio: «La cottura con il gas produce Co2, ma c’è un modo per limitarla: spegnere il fornello un paio di minuti prima e mettendo il coperchio. «La pasta – assicura Girolomoni – cuoce bene lo stesso».
M.C.