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La guerra che occupa i media

jet, guerra, missili. Foto da Pixabay.com
jet, guerra, missili. Foto da Pixabay.com

Ai tanti fattori di stress e di preoccupazione che affliggono l’individuo si aggiunge anche l’ansia da news. Non è solo una conseguenza del tempo presente contraddistinto dalla pandemia e dal conflitto russo-ucraino. Si tratta di un processo che colpisce il cervello umano da più di mezzo secolo, cioè da quando i media sono entrati prepotentemente nella quotidianità delle esistenze. Nessuno è potenzialmente esente da quella che l’architetto americano Richard Saul Wurman nel 1989 definiva “information anxiety” riferendosi a quella sindrome sociale (con ricadute psicologiche) causata dall’overload informativo.

Wurman intuì che l’estrema disponibilità di informazioni può inquinare le capacità di percezione e distinzione della realtà creando un gap crescente tra ciò che capiamo e ciò che pensiamo di aver capito. È sufficiente avere un “profilo social” non solo per leggere o editare contenuti, ma soprattutto per condividerli con il proprio pubblico. Questo protagonismo può rappresentare certamente un valore aggiunto.

Si pensi alla guerra in corso e alle immagini, ai volti, alle storie di coloro che la vivono in prima persona. Il soldato ucraino in trincea che rassicura i suoi genitori e subito dopo dice loro “vi amo perché non si sa mai” o i numerosi tweet giornalieri del presidente Zelensky al suo popolo e al mondo. Di contro…

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