Castiglioni di Arcevia e la sua Sant’Agata
Sant’Agata, che la tradizione cristiana celebra il 5 febbraio, è la patrona della piccola località di Castiglioni d’Arcevia e proprio nella Chiesa di Sant’Agata, la cui costruzione in pietra sorge all’interno delle mura del castello, è conservata una splendida pala d’altare realizzata nel 1589 da Ercole Ramazzani, nella quale la Santa è ritratta. Il Ramazzani, molto attivo sul territorio arceviese grazie anche al suo protettore, il Principe Gherardo Cybo, nipote del Pontefice Innocenzo VIII e noto paesaggista, dipinse per questa chiesa una grande tela, alta 180 cm, arricchita dai 15 misteri del Rosario attorno all’ovale centrale, raffigurante la Madonna del Rosario con San Domenico, Santa Caterina, Sant’Antonio abate e, appunto, Sant’Agata. Al centro dell’opera, seduta in trono, è posizionata la Vergine Maria con in braccio Gesù Bambino, entrambi raffigurati nell’atto di consegnare il rosario a San Domenico e a Santa Caterina, posti in ginocchio ai piedi di Maria.
La Madonna, nell’atto di essere incoronata da due angeli, osserva Santa Caterina, mentre Gesù guarda e benedice San Domenico. In piedi, in secondo piano, completano la composizione Sant’Antonio abate, riconoscibile per la presenza del bastone, della campanella, del libro e del fuoco, e Sant’Agata. Agata, con il capo velato, è rappresentata con uno dei due attributi introdotti a partire dal XII secolo per indicare la Santa, ovvero il piattino con il seno reciso. Sono invece assenti le tenaglie, con le quali era stata compiuta la violenza ai danni della fanciulla. La donna, inoltre, tiene con la mano destra una lunga foglia di palma, simbolo del Cristianesimo e del martirio. La simbologia della palma legata al martirio è molto antica ed è nata in Oriente dove è maggiormente diffuso questo albero: allora si credeva che la pianta nel fiorire e generare i propri frutti, e quindi i propri semi, morisse e questa caratteristica ha dato vita al legame con il martirio attribuendo ad essa il simbolico significato di sacrificio.
Nel periodo fra la fine del 250 e l’inizio del 251 il proconsole Quinziano, giunto a Catania per far rispettare il Decreto dell’Imperatore Decio contro i cristiani, si invaghì di Agata, una giovane cristiana di una nobile e ricca famiglia catanese, e, saputo della propria consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani. Al rifiuto di Agata il proconsole prima l’affidò alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia, probabilmente una sacerdotessa di Venere o Cerere, che tentò di corrompere la morale della giovane catanese trascinandola nei ritrovi dionisiaci, e poi, non avendo questo in alcun modo corrotto i principi della fanciulla, convocandola al palazzo pretorio e facendola incarcerare.
Con la prigionia iniziarono anche le violenze fisiche. Inizialmente Agata venne fustigata, legata sull’eculeo, l’antico strumento di tortura sul quale le membra della vittima venivano a forza tratte in opposte direzioni e disarticolate e sottoposta al terribile strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie.
La tradizione cristiana racconta che, nella notte che seguì questo evento, San Pietro fece visita ad Agata e risanò miracolosamente le sue ferite. Successivamente però la fanciulla venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti e la notte seguente a questa ultima violenza, il 5 febbraio 251, morì nella sua cella. Questa storia ha colpito e ispirato tanti artisti, di varie epoche, da Piero della Francesca a Francesco Guarino, noto pittore italiano del periodo barocco, passando per Antonio Allegri, la cui Sant’Agata è stata in esposizione dopo il restauro proprio a Senigallia prima di essere trasferita al Museo Civico di Coreggio, e per lo stesso Ercole Ramazzani. Tutti questi artisti hanno dato vita ad una variegata iconografia della Santa, raffigurata in diversi modi ma mantenendo sempre come riferimento la tradizione della letteratura agiografica.
Marco Pettinari