L’omelia del vescovo Coccia al funerale di mons. Cecchini
Però quando una persona amata e stimata con cui abbiamo condiviso un tratto di vita ci lascia, dentro di noi scatta un’esperienza di rielaborazione del cammino di questa persona. Soprattutto per quello che ha fatto e ha potuto incidere nella vita di ciascuno di noi.
E allora viene il ricordo del vescovo Mario. Qual è la sua eredità, cosa ci lascia? Quali sono i tratti più salienti del suo cammino di battezzato, di sacerdote, di vescovo. Tutti noi qui presenti abbiamo un po’ conosciuto il vescovo Mario e lo ricordiamo come un vescovo sorridente ed accogliente.
Era questo il suo stile di vita innato, ma anche coltivato. Lui amava molto stare tra la gente e con la gente, stava molto più tra la gente che non dentro il proprio ufficio in episcopio, perché aveva questa innata spinta di aiutare le persone. Sapeva ascoltare e sapeva confortare, e proprio questo suo amore con cui accoglieva le persone lo portava anche ad avere questa capacità di possibilità, difficilmente diceva “no” in maniera categorica, era sempre possibilista per vedere, rielaborare, esaminare. E allora ricordiamolo per questa sua accoglienza che dava serenità a tutti coloro che lo accostavano.
Del vescovo Mario non possiamo dimenticare la sua grande passione educativa, lui che aveva acquisito il titolo magistrale, poi aveva proseguito gli studi in pedagogia e anche in diritto. Amava la pedagogia perché si sentiva in questa vocazione non teorica ma concreta. Aveva educato anche tanti futuri sacerdoti nel seminario, aveva la pazienza dell’educatore, seminava ma non aveva la pretesa del raccolto immediato né quantificato. Tutti quanti nella vita siamo educatori, non solo per il ruolo che alcuni di noi possono avere, ma perché tutti ci educhiamo gli uni con gli altri. E in fondo, educarsi significa camminare insieme, significa condividere, significa portare il peso gli uni degli altri e significa avere degli orizzonti condivisi. Ricordiamolo per questo suo tratto di uomo impegnato nel campo educativo, sia come sacerdote, sia anche come vescovo.
E da ultimo, il vescovo Mario l’abbiamo conosciuto anche e soprattutto come vescovo, e che cosa ricordiamo di questo confratello? Ricordiamo la sua capacità di essere un uomo di fede che ha condotto il popolo di Dio sui sentieri della fede, ma anche l’uomo che è vissuto di fede, sia come prete, sia come vescovo per i ruoli che ha vissuto. E tutto in qualche maniera orientato e segnato nella fede e con la fede. E alla fine è questo quello che rimane nella vita di ciascuno di noi: tutto passa, rimane la Fede. E il vescovo Mario è stato un uomo-pastore che ha condotto il popolo nel cammino della fede, ma che ha vissuto la fede. La sua era una fede semplice, ma non ingenua, dove semplicità vuol dire essenzialità. Era molto concreto, alla mano – come diciamo nel nostro linguaggio marchigiano – ma era un uomo che andava alla sostanza. Ed è stata questa Fede che lo ha condotto sempre, anche nei momenti difficili della conduzione della chiesa di Fano, Fossombrone, Pergola e Cagli. Anche in momenti di situazioni storiche di unificazione e di altro ancora.
E lo ha condotto poi anche nell’esperienza della sua lunga malattia. Ha vissuto la malattia in quella Fede semplice, autentica e profonda.
E allora ricordiamolo al Signore e chiediamogli che l’abbia con Lui, per i meriti che ha acquisito e anche per questa testimonianza di vita sacerdotale ed episcopale che ci lascia oggi. Ed è giusto che il momento dell’addio glielo diamo proprio in questa cattedrale. Il vescovo Mario è stato generato alla fede dalla Chiesa di Senigallia, è stato generato al sacerdozio dalla Chiesa di Senigallia ed è stato anche generato all’episcopato da questa Chiesa dove aveva avuto anche ruoli di rilievo ed importanza. Oggi questa Chiesa con tutto l’episcopato, con il presbiterio e con tutto il popolo di Dio lo saluta con i sentimenti della riconoscenza che si traduce in comunione eterna.
Piero Coccia – vescovo di Pesaro