Il conto è ancora aperto: le parole che fanno storia
Ora il Ministero dell’Istruzione vuole vederci chiaro ed è l’Ufficio stampa del palazzo di Viale Trastevere a spedire, nella tarda serata di venerdì, un comunicato in cui “rende noto di aver chiesto all’Ufficio scolastico regionale per le Marche una relazione in merito al messaggio inviato alle studentesse e agli studenti della Regione in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate del 4 novembre. Messaggio che ha suscitato forti polemiche da parte della comunità scolastica e non solo. Il Ministero ha chiesto spiegazioni sul contenuto e sulle finalità della nota in ragione “dei principi democratici che sorreggono l’attività e le finalità del sistema nazionale di istruzione e formazione”. Ennesima puntata del dibattito – tutto marchigiano – sollecitato dall’imbarazzante lettera destinata agli studenti delle scuole superiori della nostra regione, inviata dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale, dott. Filisetti, in occasione della ricorrenza del 4 novembre che ricorda la vittoria dell’esercito italiano nella Prima guerra mondiale e festa nazionale delle Forze armate. Il dirigente ha anche citato alcune parole del filosofo Giovanni Gentile, ministro dell’Istruzione durante il Fascismo, contenute nel suo “Sommario della pedagogia” incentrando il pensiero su patriottismo, coraggio e sacrificio.
Fine agosto di un’estate strana, questa del 2020. La Rotonda a mare di Senigallia affollata, nei modi e nei numeri consentiti dalla sicurezza anti pandemia, per ascoltare Francesco Filippi, brillante storico che in un Paese scordereccio come il nostro, dati alla mano e impeccabile metodologia di ricerca, solleva più di un polverone ogni volta che esce un suo libro. Ha la fissa, più che mai meritoria, di spiegare le vicende storiche italiane studiandole anche dalla parte dell’opinione pubblica, essendo lui uno ‘storico della mentalità’ e indaga la storia chiedendosi cosa ha lasciato nel sentire comune e come incide anche oggi nella narrazione collettiva.
Dopo Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (50 mila copie vendute), è tornato in libreria con un nuovo saggio (Bollati Boringhieri), dal titolo Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto. In questa spietata radiografia del Paese abitato da tanta “brava gente”, Filippi prende in esame le dinamiche politiche del dopoguerra e la mancata defascistizzazione delle istituzioni nonché il tentativo mancato di contrastare il neofascismo attraverso la legislazione: dalla XII disposizione della Costituzione fino alle leggi Scelba (1952) e Mancino (1993). Il saggio prende in esame anche i racconti culturali che si sono sviluppati nel periodo repubblicano: dalle interpretazioni dei filosofi Croce, Gobetti, Gramsci e Salvemini; al dibattito storiografico da Battaglia e De Felice fino alla produzione culturale, cinematografica, musicale e letteraria di massa che in molti casi, come dice Filippi, ha sostanzialmente assolto gli italiani dalle proprie responsabilità.
Filippi, nella Rotonda a mare inaugurata in pompa magna proprio durante il Ventennio, simile ad un cella frigorifera per eccesso di aria condizionata, è partito in quarta: «Siamo ancora fascisti perché, drammaticamente, non ci è stato insegnato e non siamo mai stati costretti ad essere altro. Il fascismo è stato un fenomeno complesso, che ha occupato 20 anni cruciali della vita di questo Paese, a cui non ha fatto seguito una profonda e strutturata analisi riguardo l’impatto di lungo periodo che ebbe, sulla nostra società, il totalitarismo italiano. Nella costruzione dell’identità italiana, intesa come insieme di caratteristiche comuni attribuibili agli abitanti di questo paese, molte delle caratteristiche che ci riconosciamo come “tipicamente nostre” sono frutto di un racconto pubblico che fu il fascismo, per primo, a forgiare».
E chi sono i fascisti oggi? «Si possono individuare tre categorie: i nostalgici, che vanno in pellegrinaggio sulla tomba di Mussolini e fanno il saluto romano all’anniversario della marcia su Roma. Poi ci sono i “moderni”, di tendenze politiche autoritarie e in generale antidemocratiche, che mettono il fascismo storico nel proprio retaggio culturale e si richiamano ad esso come un ispiratore. Questi due gruppi, messi insieme, sono una parte davvero minima della società del nostro paese. Infine c’è la categoria degli inconsapevoli: quelli che ritengono di poter utilizzare a piacimento le categorie del fascismo senza preoccuparsi dei danni alla memoria storica del Paese che questo comportamento fa nascere. Sono quelli che scherzano sul duce e ne minimizzano la pericolosità storica, dicendo che non serve più a nulla, oggi, parlare di fascismo o antifascismo. Di solito sono anche quelli che non hanno particolare attenzione al vivere comune e che più in generale guardano con sfiducia alle istituzioni democratiche. Sono quelli che al bar, o anche in parlamento, tra il serio e il faceto invocano “l’uomo forte” per risolvere i problemi del paese. Questa ultima categoria è, ahinoi, molto, molto più numerosa».
Forse sono anche quelli che non sanno raccontare anzitutto a se stessi e, peggio ancora, alle giovani generazioni, che è tempo di archiviare sul serio questa anacronistica retorica bellica. E che si rende omaggio ai milioni di giovani di allora, costretti ad una crudele morte non scelta, dicendo e vivendo parole altre. Quelle che sanno di convivenze possibili e percorsi di giustizia, per tutti.
Laura Mandolini