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Il nuovo percorso in Siria: dalla caduta di Assad ai sogni dei siriani – L’INTERVISTA

Asmae Dachan

Cosa è accaduto in Siria negli ultimi anni e, che svolta è stata quella delle ultime settimane? Che portata hanno i recenti eventi con la caduta di Assad e l’insediamento al potere dei ribelli guidati da Al-Jolani? Lo abbiamo chiesto a chi in Siria ha vissuto, a chi è dovuto andarsene dal proprio paese per vivere in Italia e a chi spera in un futuro migliore: in poche parole abbiamo intervistato la scrittrice, poetessa e giornalista italo siriana Asmae Dachan. Ha rilasciato alla direttrice di Radio Duomo Senigallia, Laura Mandolini, una interessante testimonianza. In questo articolo troverete in formato testuale solo alcuni concetti chiave ma cliccando sul tasto “riproduci” del lettore multimediale potrete ascoltare l’audio integrale dell’intervista.

Fino a qualche giorno fa la Siria era sparita dai riflettori internazionali, dai medi internazionali. Nel frattempo cosa stava succedendo?
Negli ultimi 14 anni la Siria ha conosciuto uno dei peggiori momenti della sua storia, una storia antichissima. Ricordiamolo, ci sono città come Aleppo, da cui provene la mia famiglia, che ha almeno 8 mila anni di storia. Non c’è mai stata una situazione tragica come quella degli ultimi 14 anni, dove purtroppo la guerra ha provocato almeno 500mila vittime, ma secondo alcune estime ce ne sono state in realtà un milione. Su 23 milioni di persone, 7,5 milioni sono diventate profughi fuori dalla Siria e altrettante sono rimaste sfollate internamente. L’attenzione della comunità internazionale e della stampa internazionale sulla Siria è stata sempre piuttosto bassa, ma negli ultimi anni in particolare la Siria è completamente sparita dallo scenario internazionale.

La Siria torna ad essere raccontata perché nel giro di qualche giorno il famigerato regime di Bashar al-Assad è crollato, si è sciolto come neve al sole, ma sappiamo che non è così, vero?
Prima di sabato 7 dicembre la Siria de facto era divisa in tre zone almeno: Idlib e la sua provincia; il Kurdistan siriano; e poi la cosiddetta Siria utile, quella che va dal confine con l’Iraq fino allo sbocco sul Mediterraneo. Accade che con l’inizio della guerra a Gaza e poi in Libano e anche su alcune zone dell’Iran, l’Iran ritira parte delle sue milizie, gli hezbollah si ritirano gradualmente e tornano verso il Libano, e la Russia che da due anni combatte e invade l’Ucraina ha ridotto il suo contingente. L’esercito di Assad era già particolarmente debole. Lo scenario è stato favorevole in qualche modo all’avanzata di queste truppe ribelli sostenute dalla Turchia in particolare, ma lo scenario che si è creato diciamo che era evidentemente studiato in qualche modo tra queste grandi potenze. Per la prima volta dopo 54 anni, i siriani hanno potuto celebrare la fine di un regime, un regime che dall’epoca di Assad padre ha soffocato la Siria, ha negato i diritti ai cittadini e alle cittadine siriane, ha soffocato ogni iniziativa politica, ogni forma di pluralismo culturale e politico, ha arrestato e torturato, ucciso oppositori e ha costretto appunto all’esilio milioni di siriani. La caduta del regime di Assad per noi è stato un sogno quasi inaspettato perché dopo tanti anni di sofferenza nessuno di noi quasi ci sperava più.

Che significato ha l’8 dicembre per voi?
E’ stato un giorno della liberazione, il 25 aprile siriano, poi chiaramente dobbiamo fare i conti con la realtà, quelli che hanno portato avanti l’offensiva militare sono comunque uomini armati che hanno avuto un passato di legami con Al Qaeda, quindi non sono sicuramente degli schinchi di Santi, hanno promesso in questi giorni, hanno dimostrato una grande consapevolezza politica oltre che militare. Nessuno di noi però si illude che questi militari lasciano la scena per favorire l’iniziativa della società civile dal basso, siamo tutti molto attenti, siamo chiaramente preoccupati, ma nessuno può negare alla popolazione siriana il diritto di dire finalmente un regime sanguinoso, sanguinario che denunciamo da 50 anni è stato sconfitto e smascherato.

I siriani denunciano questo regime da anni e purtroppo sono stati inascoltati.
Oggi tutti si riempiono la bocca parlando di quanto era abominevole la situazione sotto il governo di Assad, ma tutti con Assad hanno fatto accordi, l’hanno riabilitato negli ultimi anni. L’Italia è stato l’unico paese della Nato a riaprire addirittura la sua ambasciata a Damasco come se nulla fosse, nonostante su Assad penda un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità, per usare armi chimiche contro la popolazione. Oggi tutti ci chiedono analisi geopolitiche, analisi di scenari futuri. Credo che i siriani in questo momento abbiano il diritto di tirare un suspiro di sollievo. Uno dei mali della Siria è finito, quello della dittatura.

Non dimentichiamolo la terribile crisi umanitaria dopo oltre 14 anni di guerra…
Secondo le stime dell’ONU ci sono almeno 17 milioni di siriani che dipendono quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari. C’è un paese da ricostruire non solo come società civile, ma c’è proprio una serie di case da ricostruire, una serie di ospedali, di infrastrutture, di posti di lavoro perché i siriani possano rialzare la testa.

Quale chiave di lettura ci dai oltre la stretta attualità per capire il tuo paese, dalla società civile all’incrocio tra diverse fedi?
Io amo porre l’attenzione sulla società civile, perché in questi anni le siriane, i siriani non hanno avuto il minimo spazio, non ho mai visto sulle tv italiane un intellettuale siriano parlare, una scrittrice, uno scrittore, un musicista, eppure molti sono venuti in diaspora, molti hanno raccontato, hanno denunciato. Non ho sentito oggi discorsi di vendetta se non in ambito militare, i civili siriani non stanno parlando di vendetta, i civili stanno parlando di ricordare come era la Siria prima della dinastia degli Assad e prima della guerra, quindi una Siria dignitosa, una Siria dove lo slogan principale era Wahed, Wahed, Wahed, ovvero uno, uno, uno, il popolo siriano è uno, che significa che non c’è differenza tra arabo e kurdo, tra arabo e armeno, tra cristiano e musulmano, il collante di tutto era proprio l’identità siriana fatta di una musica, di una letteratura, di un’arte, di un’architettura meravigliosa. Io penso proprio che appunto i siriani riconoscano, guardandosi negli occhi, le ferite l’uno dell’altra, è una ferita comune, è un lutto comune quello che ci ha colpito e che abbiano tanta voglia di unità in questo momento e voglia di pace. Ricostruiamo il nostro paese e cerchiamo appunto proprio in nome della nostra identità millenaria, in nome dell’amore tra cristiani e musulmani di usare una parola che in questi anni ci è stata tolta, la speranza.

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