Lettera del vescovo Franco a Senigallia, ispirato dalla vita del patrono San Paolino
San Paolino fa parte di quegli uomini che non si spaventarono per la fine dell’Impero romano, quando i barbari dai confini sembravano minacciare le fondamenta di quella grande civiltà. Veniva dalla Francia, da Bordeaux, dove era nato da famiglia altolocata. Qui ricevette un’educazione letteraria molto elevata, avendo come maestro il poeta Ausonio. Dalla sua terra si allontanò per seguire la sua precoce carriera politica, che lo vide arrivare, ancora in giovane età, al ruolo di governatore di tutta la Campania, allora regione molto ricca e fertile al cuore dell’impero romano. Si sposò ed ebbe un figlio.
Mentre era impegnato a costruire la città terrena la bellezza di Cristo gli rapisce il cuore al punto da fargli lasciare tutto, come un antesignano di san Francesco; ma non per vivere nella natura, ma per ricostruire le basi di una civiltà più salda di quella romana, nella città di Nola, di cui poi – godendo la stima di tutto il popolo –divenne anche Vescovo. Seppe stare vicino al suo popolo nelle tristi contingenze delle invasioni barbariche, consigliando l’imperatore e fino al punto – sembra – di offrirsi un giorno ostaggio al posto del figlio di una vedova.
Era un uomo di grandi e belle amicizie, ma ne vedeva anche il limite: e il limite era spesso l’utilitarismo delle relazioni fragili, al cui posto sceglie la stabilità dell’amore cristiano. Allora costruisce un monastero dove al piano terra ospita poveri e pellegrini e al piano superiore si ascolta la Parola di Dio e si celebra l’amore di Dio. Scrive poemi, canti, cerca di dare bellezza ai luoghi, s’impegna perché un nuovo acquedotto arrivi a Nola, e per lui quell’acqua è civiltà e battesimo insieme, è fede e bene comune, è dono di Dio e amicizia con la sua gente.
L’acqua è stata per Senigallia fonte invece di lutto, di dolore, di devastazione della bellezza della città. Come Noè che “al tempo dell’ira fu segno di riconciliazione” (Sir 44,17), a noi è chiesto nel segno dell’amicizia la stessa responsabilità: perché l’amicizia non è solo un nobile sentimento, ma il fondamento di ogni abitare civico, come insegna sia la tradizione biblica che la cultura classica.
Nella Bibbia Abramo, padre della fede per Ebrei, Cristiani e a Musulmani, quando entra nella terra promessa abitata da altri popoli ha un significativo e misterioso incontro con Melchisedek re di Salem. Abramo porta una promessa, un desiderio di terra e libertà, dove si viva giustizia e fraternità. Ma intorno è solo inospitalità e guerra, difesa di confini; nessuno crede alla sua promessa, i potenti locali si schierano contro di lui per cacciare lui e la sua gente, tranne questo sconosciuto re, il cui nome vuole dire “re di giustizia, della città, della pace”. Questo re lo invita a una cena. Sono in tre: lui, Abramo e Dio. Sulla mensa c’è pane e vino, come un altare di amicizia e un cuore aperto all’incontro: non ci sono troppe preghiere, c’è un uomo che dice: ti faccio posto nella mia mensa, faccio posto alla tua promessa, spezziamo il pane come amici, beviamo con allegria il vino…. E questo fu, come sottolinea la Bibbia, il suo altissimo culto a Dio, più alto di ogni altro gesto religioso.
La cultura classica ci sollecita ad allargare la ragione politica, economica, culturale attraverso la logica del dono, del gratuito, dell’amicizia. Gratuito non è semplicemente ciò che è gratis. In una città e nelle comunità che la compongono, gratuità significa pensare, realizzare un’opera perché è buona e bella per se stessa. Anteponendo il valore dell’opera in sé e per sé all’utile o all’interesse che se ne può ricavare. L’utile e l’interesse hanno certo la loro importanza, ma prima viene il valore della cosa in sé. L’affetto amicale e il buon governo fioriscono da questa dimensione gratuita del civile, del sociale, del politico, del culturale.
Siamo qui oggi, cittadini di Senigallia, figli e figlie di questa storia, di secoli di civiltà greca e romana, prima ancora celtica ed etrusca; poi cristiana, ebraica, europea e insieme così aperta all’oriente, come la nostra fiera di Senigallia ricorda ancora nei nomi delle vie del Rione Porto.
Non avere paura, dunque, figlia e figlio di questa storia se l’acqua bene prezioso ti ha ferito. Sei stata edificata lì dove il fiume garantiva l’acqua, bene preziosissimo. Sorella acqua ci ha ricordato che nessuna dimora è stabile, che il creato va custodito con responsabilità e intelligenza.
Hai visto Senigallia quanti ragazzi, giovani e adulti si sono buttati nelle strade per aiutare chi prima era sconosciuto, e poco dopo era un amico? Se diventasse uno stile, prendersi cura della nostra città, tenere in ordine e pulito davanti casa, collaborare con gratuità, vivere un buon vicinato, impegnarsi nel volontariato?
Non temere sorella e fratello di Senigallia se trovare una casa in affitto è un’utopia: il turismo, linfa vitale della nostra economia, può rendere difficile l’abitabilità. Ma la casa è un diritto che va garantito, condiviso a ogni costo, non un privilegio.
Eppure c’è ancora solidarietà: amici, parenti aprono le case, i cancelli ancora non sono così serrati. Si fanno raccolte fondi, si scatena una fraternità contagiosa dove nessuno è solo. Se diventasse uno stile che le case sfitte vengono rese disponibili quando qualcuno è in difficoltà, quando la sua casa non è abitabile, quando fa fatica a pagare un affitto alto?
Non perderti d’animo amica e amico fragile di Senigallia se prenotare una visita medica vuol dire aspettare mesi. Abbiamo un ospedale da salvaguardare, ma ancor più una sanità pubblica che non può subire altri tagli.
Ma vediamo anche i nostri operatori sanitari che sanno prendersi cura, i nostri medici di base sono spesso veri amici delle famiglie, gli infermieri, le Oss, mettono tutta la propria cura, oltre il dovuto, fino al gratuito. Se diventasse uno stile che il malato sia al primo posto nella nostra città, nell’abbattimento di ogni barriera umana e architettonica?
Non temere uomo e donna di Senigallia se sono in aumento le famiglie e le persone che chiedono assistenza alle nostre Caritas, alle strutture pubbliche, alle associazioni umanitarie.
Tantissimi volontari, presenti nelle associazioni di assistenza si fanno carico dei problemi di molte persone: c’è tanta solidarietà, laboriosità, imprenditorialità, c’è tanto donare.
È possibile che questa creatività del bene e questa giustizia possano diventare lo stile anche dei giusti stipendi, dei lavori giovanili ed estivi, dell’accoglienza di chi da vicino o da lontano cerca lavoro e dignità?
Non temere madre e padre, insegnante ed educatore di Senigallia se i nostri giovani faticano a trovare una strada, un lavoro che li faccia fiorire e strade false e facili li abbagliano con così tanta facilità.
Eppure abbiamo scuola, sport e associazioni laiche e cattoliche, parrocchie, con le loro attività, espressione di una vicinanza amica e promettente.
Se questa fiducia verso ogni giovane diventasse lo stile costante per creare luoghi e opportunità, per spendere gratis tempo per loro, per dare sogni alti e belli ai nostri giovani, e aprire gli scrigni delle promesse che germogliano nel loro cuore?
Custodire la vita dei più piccoli e fragili e farla germogliare sia il nostro primo comune impegno, al di là di ogni credo e di ogni ideologia di riferimento. Saremo una città bella se insieme dissoderemo il nostro terreno educativo, se lo concimeremo di valori preziosi, come la libertà, la solidarietà, la giustizia, la gentilezza, l’accoglienza. Se come adulti vivremo un’amicizia civica e una genitorialitá che educa alla solidarietà e alla cura del bene comune, se sapremo avere uno sguardo capace di sognare e di sperare.
Se impariamo a condividere e a prenderci cura della promessa che ognuno porta nel suo cuore, perché ogni persona è dono, una promessa e un compito e l’amicizia la forza e la bellezza di un’esistenza condivisa.
Franco Manenti
vescovo di Senigallia