L’alluvione del 1976, la memoria della comunità e quella prevenzione che fa acqua da tutte le parti
Nell’agosto 1976 si verificò un’ondata di maltempo che sconvolse l’intera area adriatica tra Emilia Romagna e Marche, causando allagamenti e alluvioni in varie zone costiere e non solo. Praticamente la stessa situazione o quasi che si è verificata nel maggio scorso, forse con meno morti e minori danni ma certamente con una portata simile all’ultimo disastro che ha interessato la regione. Sono passati 47 anni da allora e, purtroppo, ancora poco sembra essere cambiato. Troppo poco. Su tutti, la questione della prevenzione.
Un termine decisamente più in voga in questo periodo. Allora la prevenzione faceva acqua un po’ da tutte le parti, se ne parlava poco e, come sempre, solo dopo un disastro si pensa a come evitarlo in futuro. Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati denota poca lungimiranza, ma oggi potremmo dire che sono scappati non solo i buoi ma anche tutti gli altri animali da allevamento e, di fronte all’alluvione, persino i cani pastore. La situazione non è granché migliorata nonostante il passare del tempo, lo sviluppo degli studi (anche ingegneristici) e l’esperienza pregressa. Mica c’è solo l’alluvione del 2022 a pesare sulle spalle dei senigalliesi: solo per citare le ultime a ritroso: 2022, 2014, 2011, 1994, 1991, 1976.
Il 19 agosto 1976 si verificò una grave alluvione, tra le più importanti che la spiaggia di velluto abbia mai vissuto ma molti sembrano essersene dimenticati. In realtà il maltempo aveva colpito la zona riminese già dal 16 e 17 agosto per poi scendere nelle Marche dove le piogge hanno trasformato i fiumiciattoli solitamente pacifici in torrenti tumultuosi e forieri di devastazione. Il Misa iniziò a esondare allagando le frazioni interne di Borgo Bicchia e Borgo Molino, per poi arrivare in centro storico (celebre la foto dei Portici Ercolani invasi dall’acqua), nel rione porto e nel quartiere Portone. In quel disastro si registrò una vittima, Gabriella Massacci, che annegò nel fango, vicino alla chiesa di Borgo Bicchia.
Una importante differenza tra allora e oggi è che meno zone erano edificate e che quindi il terreno potè trattenere gran parte dell’acqua che invece 11 mesi fa arrivò in centro storico allagando tante strade, case, negozi e locali. Un dato che poteva fare ragionare sulle necessità di salvaguardare parte dell’ambiente proprio per evenienze simili. Eppure così non andò.
E questo ricordano anche gli abitanti delle zone più colpite del senigalliese. «Un fiume sicuro non esiste – ha più volte dichiarato Stefano Mencarelli, uno dei residenti della zona Molino-Marazzana, e oggi consulente del sindaco Massimo Olivetti con delega proprio sulle tematiche alluvionali – ma si può mitigare il rischio esondazione con opportuni interventi mirati a mantenere pulito l’alveo e creare strutture per contenere o far defluire le acque».
Il riferimento è alle vasche di espansione e ai lavori per l’escavo del letto del fiume: il primo intervento è partito e si è subito arenato tra critiche e problematiche varie, tra cui quella sulla pericolosità dell’opera per le popolazioni che vivono nei paraggi del Brugnetto e delle Bettolelle. I secondi sono pure cominciati ma procedono a rilento e su tratti talmente minimi dell’intera asta fluviale da far sorgere spontanee delle domande sulla reale utilità dei lavori e sullo spreco di risorse. O si agisce su tutto il bacino fluviale o qualche problema si protrarrà sempre.
Negli ultimi decenni dobbiamo fare i conti con degrado ed abbandono che solo dal 2014 si sta cercando di limitare, pur senza una visione complessiva e strategica per tutta la zona misa-Nevola, da Arcevia a Senigallia. E di questa scarsa consapevolezza e memoria l’unico che sembra ricordarsene è lo stesso fiume che ogni tanto si riappropria delle zone limitrofe al suo alveo, zone edificate, zone abitate, zone in cui si creano danni e morti. zone in cui fare prevenzione ora è molto complicato.
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