21 luglio 1969, il primo uomo camminava sulla Luna. Ed Enrico Medi lo spiegava così bene…
Il 21 luglio 1969 alle ore 4.56 il primo uomo camminava sulla Luna. «Scusa, Tito, ma chi è quel signore in studio da voi che spiega così bene quello che sta accadendo e rende tanto facilmente assimilabili concetti scientifici piuttosto difficili per il grande pubblico televisivo?!» chiese meravigliandosi il corrispondente della Rai, da New York, il mitico Ruggero Orlando al più giovane collega Tito Stagno che coordinava insieme con Andrea Barbato e Piero Forcella la diretta tv ‘del secolo’ quella notte del 20 luglio 1969 quando l’uomo andò sulla Luna. Quel signore era Enrico Medi e proprio per conoscerlo meglio abbiamo intervistato don Davide Barazzoni, che allo scienziato, Servo di Dio, ha dedicato tempo ed attenzione.
Don Davide, qualche notizia per inquadrare Enrico Medi…
Il ventesimo secolo ci ha regalato delle figure di laici illuminati che con la loro testimonianza e le loro parole sono stati dei veri e propri profeti del nuovo millennio. Tra questi possiamo annoverare certamente la figura di Enrico Medi, nato a Porto Recanati nel 1911 e cresciuto insieme alla sua famiglia a Belvedere Ostrense prima di trasferirsi a Roma all’età di nove anni. Medi è stato un personaggio significativo per il nostro paese e per la Chiesa Cattolica sia sul rapporto tra scienza e fede, di cui si è sempre occupato come scienziato credente e attivo nella Chiesa, sia sul tema della politica e della scuola, avendo avuto diversi incarichi legislativi e essendo stato docente universitario per quarant’anni. Di lui abbiamo molti scritti e testimonianze e avendo riconosciuto una certa fama di santità tra il popolo, il vescovo Odo Fusi Pecci nel 1995 avviò la causa per la beatificazione presso la Santa Sede che tutt’ora è in corso. La sua capacità oratoria e l’intensità dei suoi discorsi erano molto apprezzate e per questo gli vennero offerte occasioni per mettere in gioco le sue conoscenze sia tramite trasmissioni radio e tv sia tramite convegni e prolusioni. Morì a Roma nel 1974 circondato dall’amore e l’affetto di sua moglie e delle sue sei figlie, di cui quattro sono ancora viventi.
Pur essendo legato al nostro territorio, non sentiamo parlare tanto di Enrico Medi: troppo complicato parlare di un personaggio così?
Certamente questo è un dato che ci rammarica ma ci deve anche spronare a far conoscere la figura di Medi alle nuove generazioni. Quindi credo che da una parte il “poco sentir parlare” di Medi sia legato alla scarsa promozione dei suoi scritti e dei suoi discorsi, dall’altra certamente il linguaggio che egli usava e la religiosità di cui è interprete può risultare desueta e superata. In realtà non sarebbe affatto complicato parlare di un personaggio come Medi perché nei suoi scritti troviamo temi oggi molto dibattuti: il valore della scienza e i suoi limiti, le sfide legate allo spazio e allo studio degli astri, il tema energetico, in particolare il dibattito sull’energia nucleare e le sfide future della tecnologia.
I tempi in cui fede e scienza si combattevano sembrano ormai superati e pare proprio che abbia vinto la scienza. O no? Medi cosa direbbe oggi?
Medi oggi direbbe che la scienza ha fatto delle grandi scoperte e dei balzi avanti inimmaginabili, che tutto questo è frutto dell’ingegno umano e che non bisogna fermarsi nello sviluppo del progresso tecnologico e della ricerca scientifica, ma dentro questo richiamerebbe l’importanza di porre sempre anche gli interrogativi etici e filosofici sottintesi alle nuove sfide. Se dovesse trattare per esempio il tema dell’intelligenza artificiale e delle implicazioni legate ad essa richiamerebbe l’importanza di porre sempre al centro l’uomo e non la macchina, il bene comune e non gli interessi individualistici, il dialogo e il confronto e non la lotta armata e lo sfruttamento delle risorse. Medi ricordava sempre che per quanto l’uomo moderno pensi di aver conquistato lo spazio, la natura e di aver scoperto oramai tanti dei processi alla base dello sviluppo biologico e umano in realtà sono tante e tante le cose che ancora non sappiamo spiegare e risolvere. Se pensiamo al tema della medicina e delle cause di malattia e di morte di oggi, è innegabile che negli ultimi anni si sono fatte scoperte sensazionali e si sono trovati rimedi per guarire e debellare tante malattie ma di tante invece non conosciamo ancora la causa, gli sviluppi e soprattutto il modo per guarire. Quindi essere troppo convinti della vittoria della scienza su tante sfide significa peccare di superbia e ingannare anche le persone. La scienza può dare delle risposte e di queste l’uomo moderno è bene che si fidi ma altre invece non può darle soprattutto quelle legate al senso delle cose e alla possibilità di trovare negli altri la forza e nuove strade per superare ostacoli e resistenze.
Un processo di beatificazione presuppone un legame forte con la spiritualità di un popolo, una devozione diffusa. Ma ci sono persone che pregano Medi?
Io mi auguro di sì, avendo dedicato almeno tre anni della mia vita allo studio della vita di Medi e della sua spiritualità. Ma è onesto riconoscere che oggi la dinamica devozionale per certi versi è un po’ superata. La gente magari si appassiona a delle figure, ne coglie il valore e ne stima l’esempio ma poi non si mette in preghiera per chiedere intercessione e aiuto. Io credo che Medi in vita e anche dopo la sua morte attraverso le sue parole e la sua testimonianza abbia aiutato tanta gente a pregare e a sentirsi più vicini a Dio, non abbandonati nel momento del bisogno. Certo il lavoro che oggi la diocesi di Senigallia e non solo dovrebbe fare è mantenere viva questa memoria e incrementare le occasioni per far conoscere Medi e per pregare di fronte alla sua immagine perché interceda per il suo popolo, i suoi concittadini.
Il tuo lavoro di ricerca su Enrico Medi te lo fa sentire vicino: in cosa ti fa più compagnia e cosa ti piacerebbe fosse maggiormente conosciuto di lui?
Medi mi fa compagnia ancora oggi nella voglia che ho di conoscere, ricercare, interessarmi alle cose e provare a comprenderle per poi poterle spiegare ad altri. Mi fa compagnia lì dove mi ritrovo a contemplare un paesaggio armonico o un cielo pieno di stelle attingendo da lui lo stupore per la bellezza del creato e la voglia di comprenderne le leggi e le tracce di Dio seminate in tutto l’universo. Vorrei veramente come il professore marchigiano, anche io non essere mai sazio di conoscere e scoprire, contemplare e inginocchiarmi, sentirmi infinitamente piccolo e insieme infinitamente amato da Dio; la ricerca del senso che sempre ci sfugge nella sua completezza ma a cui non dobbiamo mai rinunciare per adempiere alla nostra vocazione di cristiani. Mi piacerebbe che le persone, soprattutto i giovani, scoprissero le ragioni per cui egli dedicò la sua vita alla ricerca scientifica e allo studio dell’universo che al contrario di molti, non sono legate alla perdita della fede o alla emancipazione da una certa religiosità infantile ma al contrario sono state la naturale conseguenza del voler trovare Dio in ogni cosa, essere certi che studiare con impegno e abnegazione regole e dati lo avrebbe avvicinato ancora di più al grande mistero del Dio Creatore che egli come ogni cristiano chiamava Padre e che alla fine di ogni giornata passata tra esperimenti e misurazioni si raccoglieva in preghiera ringraziando il Padre della Misericordia per tutti i doni ricevuti e chiedendo a Lui luce e sapienza per continuare la sua indagine, umiltà e piccolezza per non cadere nella superbia e nel delirio di onnipotenza.
a cura di Laura Mandolini
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