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La cura nella fragilità

Le storie richiamano una cura speciale. Per ravvicinarsi servono delicatezza, garbo, pudore, tenerezza. Mia nonna avrebbe detto “grazia”, una sorta di “umanità aumentata”. Si fa fatica a non piangere e le parole fanno fatica a rompere la sacralità del silenzio che accompagna le parole di vita sofferta, piegata, spezzata. Eppure la profonda sofferenza, attraverso parole spezzate come il pane e offerte alla comunità, apre a una possibilità di condivisione.

Ci è stato raccontato “l’ignoto nemico” che durante la pandemia ha richiesto a tanti medici e infermieri una inedita capacità di “fronteggiare”, di “stare insieme”di fronte ai nuovi rischi. Ricolmi di ansia e di paura perché consapevoli di non saper fare, eppure presenti, fianco a fianco, colleghi che si scoprono profondamente tali in quanto con-legati, legati insieme. Messi di fronte a una sfida del giorno per giorno, ad accettare che il cammino apre cammino in territori profondamente modificati e le cui vecchie mappe non funzionano più da orientamento.

“Siamo tutte e tutti fragili, perché la fragilità è in noi ed è costitutiva dell’umano” (E. Borgna). È proprio lo scoprirsi fragili che apre a un’alleanza tra donne e uomini a partire proprio da questa condizione comune. La stessa condizione che apre all’esperienza di incontro con Dio: “Cosa posso temere, Signore, se tu sei con me?”. Il pianto di V., la voce spezzata di Ariella ci hanno fatto comprendere di essere di fronte alla vita concreta. Siamo riusciti a riconciliarci con la dimensione emotiva, scoprendo che non siamo solo razionalità. L’esperienza del terremoto (1980,1986,2016), l’esodo dalla propria terra, il ritorno dei genitori nelle SAE con la possibilità di…

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