Gli effetti psicologici della pandemia sui giovani
Ansia, disturbi depressivi e dell’alimentazione fin da piccoli. Il Covid-19 non lascia indenne nessuna fascia d’età e presenta il conto sul piano della salute mentale. Anche gli adolescenti, occupati nello “struscio” nelle vie del centro e marchiati come indifferenti alla pandemia, rischiano. E grosso. Secondo Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista della Società psicoanalitica italiana (Spi) e della International psychoanalytical association (Ipa), anche l’alternanza della didattica fra modalità in presenza e a distanza destabilizza e accelera la manifestazione di diverse problematiche causa di ansia. Dietro l’angolo c’è il pericolo della depressione, anche quando le restrizioni finiranno, e l’aumento del consumo di alcolici.
Ci sono differenze fra il primo e il secondo lockdown per quanto riguarda gli effetti riscontrati sui bambini?
I bambini hanno vissuto il primo lockdown come una vacanza. Non erano colpiti dal virus e non chiedevano nemmeno tanto di uscire perché stavano con i genitori. Durante la ripresa della scuola e il secondo lockdown, hanno subito conseguenze, specie i bambini al cambio di ciclo. Le insegnanti riportano che sono più agitati, angosciati e c’è un’insolita aggressività fra loro. Avvertono angoscia a casa e cominciano ad avvertire la paura di perdere i familiari. I genitori riferiscono disordini alimentari già nei più piccoli. Questo è un sintomo di ansia ma anche del cambiamento di abitudini. Inoltre si muovono poco. Tutte le ritualità e le occasioni di socialità sono fondamentali per loro.
E sugli adolescenti, che differenze si riscontrano fra i due periodi?
I ragazzi hanno aiutato gli insegnanti alle prese con le piattaforme digitali ma hanno vissuto come uno shock la comparsa del virus. Alla fine del primo lockdown si è registrata fra loro una grande agitazione e dopo preoccupazione nell’uscire. È durato poco, in estate si sono ripresi. Durante l’anno, hanno percepito il disordine nella organizzazione perché la scuola per adattarsi alle quarantene ha dovuto alternare la didattica in presenza a quella a distanza e così non hanno avuto la possibilità di organizzarsi o hanno subito repentini cambiamenti che hanno determinato instabilità emotiva. Ora tendono ad essere ansiosi, agitati o depressi. Non possono fare sport, andare a ballare, organizzare feste e gran parte delle occasioni di incontro è solo virtuale.
Diversi istituti, fra cui il Mondino di Pavia e il Bambino Gesù di Roma, rilevano un aumento di episodi di autolesionismo fra i ragazzi.
Al momento non è possibile dire se a livello nazionale gli episodi siano aumentati. Recentemente è uscito uno studio condotto durante la pandemia nel Regno Unito che rileva come lì gli atti di autolesionismo registrati dal servizio sanitario nazionale britannico siano calati del 40%. D’altro canto, però, le fondazioni e le associazioni, sempre nel Regno Unito, hanno rilevato un lieve aumento di casi. La spiegazione ipotizzata è che i giovani avessero paura di contagiarsi rivolgendosi alla sanità pubblica. Ma le analisi sono rimandate a fine pandemia. In Italia non abbiamo una messa in rete dei dati nazionali, sono stati però pubblicati due studi che si sono occupati della depressione nel nostro Paese. Il primo, condotto Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e dall’Istituto superiore di sanità (Iss) su più di 20mila persone, rileva un aumento dei livelli di ansia, depressione e sintomi da stress. L’altro, condotto dal Registro nazionale dei gemelli e dall’Iss durante la pandemia, ha rilevato su 2.700 gemelli adulti (età media 45 anni) e 848 famiglie con gemelli (età media 9 anni) disturbi depressivi nell’11% e sintomi da stress nel 14%. Quest’ultimo dato coincide con la media europea di disturbi depressivi indicata da uno studio dell’Oms del 2019. Dovranno uscire nuovi studi prossimamente ma è atteso un notevole aumento dei casi. La Società italiana di neuropsicofarmacologia prevede che, al termine della pandemia, ci saranno un 28% di disturbi post traumatici da stress e un 20% di disturbi ossessivo-ansiosi; inoltre, che il 10% delle persone che hanno avuto il Covid svilupperà una depressione importante. Partendo, quindi, da un 14% di casi di depressione, oggi, le previsioni sono di un raddoppio dei casi.
Anche i suicidi sono aumentati fra i giovani?
C’è stato un aumento dei suicidi ma è difficile ancora dire se ciò dipende dagli effetti della pandemia o da una difficoltà di rivolgersi agli specialisti e quindi ad accedere alle cure. Anche in questo caso bisogna aspettare ulteriori studi.
Come è possibile intervenire per affrontare questa situazione?
Durante il primo periodo della prima chiusura la Spi ed altre società di psicoanalisi si sono attivate per fare ascolto telefonico. Il servizio, coordinato dal ministero della Salute, è stato molto utile per tamponare le situazioni di disagio e potrebbe essere utile proseguirlo. Di positivo c’è da sottolineare anche che sono caduti molti tabù sulla malattia mentale. Nei momenti di crisi si scoprono anche delle cose buone. L’aver superato lo stigma sociale verso il disturbo mentale è una cosa positiva. Gli adolescenti hanno meno paura di chiedere aiuto anche perché fra di loro si confrontano e parlano della possibilità di rivolgersi allo psicoanalista. Oggi è strano per loro che chi sta male non chieda aiuto.
Tra i ragazzi c’è ansia di ammalarsi della variante inglese?
La paura ha cominciato a manifestarsi in maniera importante dopo il primo lockdown. C’era chi aveva paura di uscire di casa e chi invece negava esistesse il Covid. Adesso hanno molta pura di ammalarsi, hanno disturbi del sonno, fanno tamponi frequentemente, più di quanto non si dica, perché sono economicamente più accessibili. Sono preoccupati anche per se stessi non solo per i familiari.
Le risse fra giovani sono un effetto della pandemia?
No. Sono un fenomeno di devianza sociale in cui sono coinvolti degli adolescenti. La pandemia però ha cambiato il luogo in cui si danno appuntamento. Ora i giovani che partecipano alle risse escono dai loro quartieri per scontrarsi in centro dove possono essere notati. Vogliono così emergere, attirare l’attenzione mediatica oggi catturata dalla pandemia.
Anche i docenti stanno vivendo un periodo di disagio?
Certamente. Devono continuamente cambiare modalità didattica, sono stati sottoposti a un sovraccarico in termini di ore di lezione e incontri organizzativi. Hanno subito l’incertezza e hanno dovuto cambiare l’organizzazione familiare. Sono sottoposti a uno stress enorme e vivono nella paura costante di ammalarsi. Stanno vivendo un momento complicato ricevendo poca comprensione e riconoscimento. Spesso sono criticati se non sanno usare bene il computer ma va detto che non era mai stato richiesto loro. Stanno facendo un grande sforzo anche verso gli alunni che non possono seguire a distanza per formarli nonostante le difficoltà del momento. In generale nutro una grande stima della maggior parte dei docenti, i continui cambiamenti disorientano tutti, anche gli adulti.
Prevede un aumento delle dipendenze per colpa della pandemia?
L’unico dato finora certo è l’aumento dell’acquisto di alcolici. Secondo l’Osservatorio permanente su giovani e alcol c’è stato un aumento del 200%. Fin da adesso sono necessarie campagne di prevenzione, aprire centri di ascolto gratuiti e offrire la possibilità di elaborare il trauma della pandemia sia a livello individuale che collettivo.
a cura di Elisabetta Gramolini